Un canto nel buio

La pandemia è stato un evento che ha cambiato, in modo repentino e determinato, le nostre vite e le nostre abitudini, e ci ha condotti a un nuovo criterio di concepire e vivere le relazioni interpersonali: il virus ci ha fatto perdere la serena spontaneità della quotidianità compromettendo le nostre certezze e le priorità del nostro tempo. Abbiamo avuto paura di uscire, di incontrare i nostri cari e i nostri amici, ma ci ha dato la possibilità di dedicare più tempo alla riflessione e di ordinare “materialmente” i nostri ricordi. Proprio in uno dei tanti pomeriggi trascorsi a riordinare libri, foto ed appunti personali ho trovato un foglio ingiallito la cui provenienza non ricordo più, ma senz’altro scritto da un giovane ventisettenne, perché così si firma. Sono poche righe, ma desidero riportarle in queste pagine per la loro delicatezza e per la profondità del contenuto.

È notte. Una notte di sabato come tante, un’estate come le altre. Non riesco a dormire e me ne sto zitto alla finestra. È mezzanotte; termina l’ultima proiezione dei pornofilm, e masse di spettatori eccitati si riversano sulle strade; centinaia di giovani si stanno iniettando le loro “dosi” di eroina. Quanto male, quanta miseria nascondono le tenebre! Depresso, chiudo le imposte e mi avvio verso il letto per cercare di dormire, ma improvvisamente una campana poco lontana batte alcuni brevi tocchi. Sussulto. E si che ci sono abituato: estate, inverno sempre. Eppure stasera quel suono ha il sapore di un invito. Non so perché, ma mi rivesto in fretta ed esco per la strada. Corro quasi, e in una decina di minuti arrivo.

La porta della chiesa non è aperta, tuttavia giro l’angolo e mi trovo sotto le finestre della cappella. Anche se un grosso muro mi separa da loro, le sento cantare nel silenzio della notte. Le voci sottili sembrano rondini, passano da un versetto all’altro del salmo, intessendo un ricamo di lode e di amore che si alza verso il Cielo. Poi torna il silenzio ed io penso a queste donne, a queste suore di clausura, che consumano la loro vita nella lode di Dio, che vivono soltanto per dirgli “ti amo”. Non so perché, ma stasera ho l’impressione che su quelle fragili mani tese in preghiera si appoggi la sopravvivenza del genere umano. Un ventisettenne.

Le riflessioni di questo coraggioso giovane risalgono senz’altro ad alcuni decenni fa: ne è prova il foglio ingiallito e usurato dal tempo. Esse sono di una attualità sorprendente perché aprono una strada nuova al dibattito sulla clausura, nonostante la presenza contestabile di una mentalità corrente che condiziona, in modo considerevole, l’attuale riflessione sulla vita religiosa contemplativa. Ogni scelta di vita comporta una serie di rinunce e la vita claustrale è una scelta fortissima, è una vita di sacrificio ma al tempo stesso un’esperienza straordinaria e affascinante. È una via stretta da intraprendere, tutta in salita che va percorsa con fervore di fede, di umiltà e di incessante preghiera. Oggi potrebbe apparire una scelta inutile, ma è ponderata, è la risposta a un progetto di Dio, ad un desiderio di donazione particolare, ad una chiamata speciale, decisa in piena autonomia e completa libertà, per dedicarsi totalmente a Dio attraverso la preghiera e il distacco dal mondo. È un’offerta totale a Cristo a cui si fa dono della propria vita nel silenzio e nel nascondimento. Sembra un mistero incomprensibile, un segreto inesprimibile ma per capirlo fino in fondo è necessario farne esperienza. Nella Costituzione apostolica Vultum Dei quaerere, del luglio 2016, Papa Francesco sottolinea l’importanza della scelta della vita claustrale: “Il mondo e la Chiesa hanno bisogno di voi, come fari che illuminano il cammino degli uomini e delle donne del nostro tempo.” Nel Documento Papa Bergoglio affronta alcuni problemi fondamentali della vita religiosa ma riferendosi alla vita claustrale, con tono paterno, esorta i monasteri ad essere fari e fiaccole per accompagnare il cammino dell’umanità, ed esprime loro viva gratitudine per essere il cuore palpitante della Chiesa.

Ai nostri giorni parlare del senso profondo di come è vissuta la clausura, far comprendere il valore della gratuità della preghiera e della vita contemplativa è difficile, può apparire inspiegabile con le esigenze della nostra epoca. Essere separati dal mondo, vivere fra le mura di un monastero, non implica essere estranei alle vicende del mondo ma essere fortemente presenti nel cuore del mondo e della storia. Offrire la vita totalmente a Dio per amore dei fratelli, pregare per il mondo è un atto di vita concreta e non pura follia. Chi sceglie questa via stretta opera un cambiamento radicale, impegnativo, perché va controcorrente. Spesso si ritiene che nei monasteri si conduca una vita distaccata dal mondo reale, dove si dimenticano i problemi e le sofferenze che assillano la vita quotidiana, ma al contrario si è vicini alle ansie e alle speranze degli uomini, ci si fa carico di tutti i bisogni materiali e le afflizioni attraverso la preghiera per portare tutto alla presenza del Signore. Chi si mette alla sequela Christi, entrando in clausura, lascia il frastuono del mondo per un’oasi di pace, per trasferirsi in un luogo dove il silenzio è la musica di Dio. Infatti i monasteri sono come fortezze della fede, il più delle volte incastonati tra le bellezze di paesaggi mozzafiato, in montagna o nelle valli sempre verdi, raramente li troviamo fra le abitazioni dei grandi centri abitati, in mezzo al frastuono e al frenetico ritmo del mondo ma non toccati dal mondo.

Essi sono ricchezze esclusive di cui dobbiamo far tesoro. Sono un forte richiamo per l’umanità, ormai sempre più indifferente al senso del sacro, sono un invito e motivo di riflessione sul significato profondo della vita umana, sono il cuore pulsante della Chiesa. Sono simboli della potenza della fede perché presenza attiva di donne, che nella lode a Dio testimoniano il loro amore verso gli uomini che amano in Dio. I volti delle monache sono sempre sorridenti e i loro sguardi trasmettono serenità, sono le sentinelle del mattino che annunciano il sorgere del sole con le mani alzate per lodare l’Altissimo e dire “Dio esiste e ci ama!”, e testimoniare che, come conclude il coraggioso giovane, “su quelle fragili mani in preghiera poggia la sopravvivenza del genere umano.”