Banca Centro Toscana Umbria via all’accorpamento di un ramo di Vival Banca e semestrale positiva

Banca Centro Toscana Umbria chiude la semestrale con utile lordo superiore ai 3 milioni di euro. I risultati confermano l’andamento economico patrimoniale positivo ed in linea con il piano industriale, conservando una forte attenzione agli accantonamenti prudenziali vista la complessità del momento economico e sociale. Nel frattempo la capogruppo Iccrea ha ricevuto l’autorizzazione della Bce all’accorpamento, mediante scissione totale non proporzionale, di un ramo significativo della consorella Vival Banca in Banca Centro Toscana Umbria: un progetto che consentirà un ampio disegno di valorizzazione industriale e territoriale nel solco della continuità e della prossimità ai territori. Dall’operazione, che sarà sottoposta all’assemblea dei soci delle Bcc nel mese di ottobre, potrebbe così nascere una banca tra le più dimensionate del Gruppo Bancario Iccrea con una presenza importante in Toscana ed in Umbria. Il Consiglio di amministrazione sarà composto da 13 membri ed i quattro nuovi amministratori andranno ad aggiungersi ai 9 in carica per questo mandato, nel rispetto ed in coerenza con le decisioni prese dalle assemblee dei soci all’epoca della nascita di Banca Centro Toscana Umbria nel 2020. Il Consiglio di amministrazione, con Florio Faccendi Presidente e Carmelo Campagna Vice Presidente, sarà integrato con un amministratore scelto tra i soci della ex Banca Cras, uno scelto tra i soci della ex Bcc Umbria, uno scelto tra i soci di Vival Banca ed il quarto indicato dalla capogruppo Iccrea che già partecipa al capitale della banca incorporanda. La direzione generale rimarrà affidata ad Umberto Giubboni.

“Un’operazione di sistema strategica che verrà sottoposta ai soci – afferma il Presidente Florio Faccendi – e che consentirà di dare ulteriore sostegno all’economia di tutti i territori di competenza.  Il piano industriale, sviluppato in collaborazione con la capogruppo, consentirà di rispondere alle esigenze dei soci e clienti in un contesto economico e sociale che sta assumendo contorni particolarmente complessi. Potremo rafforzare e razionalizzare la nostra presenza in Toscana ed in Umbria ampliando nel contempo l’operatività. Questo permetterà di dare sostegno concreto ai vecchi e nuovi territori di riferimento; nuovi territori a cui fornire una presenza politica e tecnica tale da. mantenere forte il sostegno ed il legame economico tipico della Bcc insieme all’anima cooperativa che ci contraddistingue”.

“La struttura del piano è tale – sottolinea il Vice Presidente Carmelo Campagna – da sostenere, pur con prudenti valutazioni coerenti con gli scenari di mercato, una presenza ancora più ampia e forte sui territori con una capacità di investire sullo sviluppo degli stessi mantenendo forte la radice mutualistica. Alla tradizionale operatività saranno affiancati elementi innovativi in termini di implementazione del modello di business”.  Il direttore generale Umberto Giubboni conferma, “l’andamento positivo del primo semestre e la coerenza con la pianificazione ci consentono di sottoporre la nuova operazione ai soci, partendo da basi in linea con le attese e con le proiezioni fatte ai fini del piano industriale approvato dalla capogruppo Iccrea e sottoposto all’autorizzazione della Bce. Nel primo semestre la raccolta globale è arrivata a 2,21 miliardi e gli impieghi a 1,36 miliardi, gli indicatori patrimoniali rimangono in linea con i benchmark di gruppo e di vigilanza. Un ringraziamento a tutto il personale che ha consentito con il proprio impegno di raggiungere questi risultati in piena coerenza con il piano strategico in vigore e relativo alla nascita, ormai oltre due anni e mezzo fa, di Banca Centro Toscana Umbria”.

Si potrà aprire, quindi, una nuova possibilità di crescita per Banca Centro Toscana Umbria che andrà a rafforzare la storia bancaria e cooperativa che i soci, con lungimiranza, hanno nel tempo scelto di sostenere nelle assemblee.




Il superbonus, da opportunità a trappola mortale

Più o meno due anni fa, in piena pandemia, fu istituito il “superbonus 110%” che nelle intenzioni doveva essere uno strumento formidabile proprio per dare respiro all’economia fiaccata dal Covid, puntando anche alla riqualificazione degli immobili con un impulso significativo al settore dell’edilizia.

Certamente la misura agevolativa si presentava estremamente interessante, sia per l’entità delle detrazioni (110% della spesa) sia per l’innovativo meccanismo dello “sconto in fattura” grazie al quale il committente privato non avrebbe sborsato denaro ma avrebbe potuto cedere all’impresa le sue detrazioni/credito di imposta a saldo delle fatture per la ristrutturazione, l’impresa poi avrebbe ceduto il credito di imposta ad un Istituto finanziario incassando il corrispettivo ed il cerchio si sarebbe chiuso con piena soddisfazione di tutti.

Ed effettivamente le cose sono andate proprio così per qualche tempo: i proprietari di abitazione hanno colto l’opportunità affidando ad imprese edili ed impiantisti la ristrutturazione dei loro immobili, e di conseguenza molte imprese si sono attrezzate, hanno investito e sono cresciute in dimensione vedendo in questa misura una sana opportunità di sviluppo del settore.

Oggi però leggiamo (e per esperienza diretta posso confermare) che tutte le imprese edili che si erano cimentate nella realizzazione di interventi con “sconto in fattura” sono in grave difficoltà finanziaria e che l’intero settore dell’edilizia è in sofferenza addirittura con serio rischio di default.

Che cosa è successo e come si è arrivati a questo stato di difficoltà?

Le cause che hanno trasformato una sana opportunità in un vero e proprio boomerang per le imprese derivano essenzialmente dalle modifiche normative che via via hanno reso sempre più difficile la cessione dei crediti dalle imprese alle Banche, fino alla completa e, ad oggi, definitiva chiusura di ogni possibilità di smobilizzare i crediti che le imprese hanno in pancia, perché anche alle Banche sono stati imposti dei limiti che di fatto non consentono loro di accettare altri crediti.

Semplificando è successo che dopo aver stipulato contratti di appalto con previsione dello “sconto in fattura” e soltanto dopo che i lavori erano stati eseguiti, fatturati e pagati con il credito caricato sul cassetto fiscale dell’impresa, a quella impresa è stato detto che quel credito nessuno lo avrebbe più potuto acquistare e liquidare e potrà usarlo solo in compensazione delle tasse e dei contributi ma in cinque anni oppure anche in dieci anni a seconda del tipo di intervento eseguito. 

La motivazione per la quale è stata imposta “in corsa” una stretta così drastica alla cessione dei crediti, è stata spiegata dal legislatore con la scoperta di truffe per importi miliardari realizzate proprio con la cessione di crediti su ristrutturazioni edilizie mai realizzate o realizzate con prezzi gonfiati.  La realtà però viene raccontata solo parzialmente, perché è indubbio che molte truffe sono state realizzate, ma non sul superbonus 110% bensì per la quasi totalità sui bonus ordinari che esistevano già da anni prima che il superbonus venisse istituito.

Ma come è potuto succedere che proprio ora sia state organizzate così tante truffe su bonus edilizi che esistevano da anni?

Spesso è troppo semplice dire che la legge è stata fatta male, ma in questo caso la legge che ha previsto la possibilità dello sconto in fattura e della cessione dei crediti è stata proprio fatta male!

Quando è stato istituito il superbonus 110%, la possibilità di pagare i lavori con lo “sconto in fattura” e cedere il credito di imposta alla banca è stata estesa anche a tutti gli altri bonus edilizi preesistenti, ma mentre per il superbonus 110% erano necessarie asseverazione tecnica e visto di conformità, cioè assunzione di responsabilità di due professionisti (tecnico e commercialista) a loro volta garantite da specifica copertura assicurativa, per tutti gli altri bonus tutto questo non era necessario e bastava banalmente fare una comunicazione all’Agenzia delle Entrate per avere il credito caricato sul cassetto fiscale e di conseguenza cedibile alla banca.

E’ di tutta evidenza che questa norma così concepita ha creato una falla gigantesca nel sistema di controllo della legittimità dei crediti, ed infatti si è purtroppo verificato che sfruttando questo vuoto nella procedura sono stati caricati crediti inesistenti poi ceduti alle banche e illecitamente incassati. Ma tutto questo, bene ribadire, è avvenuto utilizzando i crediti ordinari ed in particolare il bonus facciate che dava diritto fino a tutto il 2021 ad un credito pari al 90% della spesa.

Solo a fine 2021, orami troppo tardi, l’ennesima modifica alle norme sulla cessione dei crediti da ristrutturazioni edilizie ha previsto asseverazione tecnica e visto di conformità anche per i bonus diversi dal superbonus, cercando di riparare al vuoto procedurale che aveva provocato tanti danni. Ma in quella stessa modifica sono stati posti quei limiti stringenti alla cessione di tutti i crediti, compresi quelli da superbonus, per cui le imprese (quelle che lavorano e agiscono correttamente) che avevano già acquisito crediti o che stavano eseguendo interventi a fronte della cessione del credito si sono ritrovate ad avere crediti di imposta per importi anche importanti, senza però poterli più cedere e trasformarli in liquidità, con evidenti conseguenze di serie difficoltà finanziarie.

In conclusione, per cercare di porre riparo ad una norma mal concepita che aveva causato un danno all’Erario per colpa di alcuni truffatori, si è andati a punire un intero settore di imprese che avevano visto in questa misura una sana opportunità di lavoro dopo un periodo buio e che su questa avevano anche investito e assunto lavoratori, ma che ora invece gli si è ritorta contro mettendoli in serie difficoltà finanziarie.




CRO esce definitivamente dall’orbita di Bari. Ora l’azionista di controllo è direttamente MCC

Nel nuovo piano industriale di Medio Credito Centrale, guidato da Bernardo Mattarella, ci sono importanti novità per la Cassa di Risparmio di Orvieto.  La prima riguarda l’assetto societario con Bari che esce definitivamente di scena e con MCC che subentra pronta a ricapitalizzare.  La rivisitazione del piano è dovuta proprio alle performance non soddisfacenti della BPB che, secondo le stime dovrebbe chiudere l’anno con perdite sui 180 milioni di euro.  Troppo e allora MCC ha deciso di rivedere il piano anche perché i rischi futuri sono diversi.  In pratica MCC sembra aver deciso di introdurre una bad division e una terapia d’urto che prevede anche la vendita di alcuni immobili di pregio su Bari e altri probabilmente in Basilicata e a Teramo.

Ora per Cassa di Risparmio di Orvieto si apre una nuova fase.  MCC ha individuato nella banca orvietana chi dovrà gestire il mercato retail in tutto il centro Italia mentre alla Popolare di Bari andrà il coordinamento dell’area del Sud Italia.  Il prossimo passaggio riguarderà la ricapitalizzazione di CRO che ha assicurato MCC ma rimane il punto di domanda sul destino della quota della Fondazione guidata da Libero Mario Mari.  Viene archiviata, invece, la possibile incorporazione in BPBari, mentre nel prossimo futuro potrebbero esserci movimenti con la capogruppo MCC.  In ultimo non sono previsti tagli di personale e la chiusura di ulteriori filiali, almeno in questa fase probabilmente in attesa di leggere i risultati definitivi relativi al primo semestre del 2022.




Antonio Rossetti, CTS, “tanto risparmio ma pochi investimenti così le imprese orvietane soffrono, quali soluzioni?”

In un Rapporto appena uscito l’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo prende in esame l’economia del territorio orvietano attraverso l’analisi congiunta di più studi. In particolare si fa riferimento, nel documento appena pubblicato, al Bollettino socio-economico 2019 del CSCO, all’Analisi dei depositi bancari dell’Umbria a cura di Mediacom043 e al recente Osservatorio permanente delle prime 20 imprese di capitali dell’Area interna Sud-ovest Orvietano proprio a cura di Cittadinanza Territorio e Sviluppo. I dati analizzati restituiscono un’ipertrofia dei depositi bancari tipica dell’orvietano e un livello del credito bancario alle imprese molto più basso ad Orvieto rispetto al dato umbro. Nel nostro territorio per ogni euro di deposito bancario solo 0,75 centesimi si trasformano in prestiti contro 0,95 della media umbra.

Un dato preoccupante che rappresenta un’ulteriore spia di allarme rispetto all’andamento economico stagnante del nostro territorio. 

Abbiamo così voluto rivolgere qualche domanda in più al curatore del rapporto, Antonio Rossetti, presidente del Comitato Scientifico di Cittadinanza Territorio Sviluppo.

Presidente Rossetti in soldoni cosa sta accadendo alle imprese del nostro territorio?

I dati ci restituiscono una situazione di stasi dei prestiti bancari consolidata da diversi anni. Tutto ciò in particolare nell’orvietano. Nonostante la mole dei depositi bancari ad Orvieto sia importante, il livello dei finanziamenti effettivamente erogati è molto inferiore al credito potenzialmente erogabile. In un sistema bancocentrico, ovvero dove le banche costituiscono con gli affidamenti il principale canale di finanziamento degli investimenti delle imprese, questa stasi del credito è uno dei fattori che inducono un peggioramento della redditività delle aziende orvietane.

Quindi mi sta dicendo che l’alta propensione al risparmio degli orvietani sta minando la salute del nostro sistema imprenditoriale?

Il risparmio delle famiglie finito nei depositi ha determinato nel tessuto produttivo minori flussi di cassa gestionali, così le imprese per finanziare i loro piani di sviluppo avrebbero avuto necessità di un maggiore  ricorso ai fidi bancari. Nel medio periodo, visto il basso livello di credito bancario del territorio, le nostre imprese hanno di fatto dovuto ridurre i loro piani di espansione. In generale quando il risparmio acquista depositi e non vi sia un parallelo incremento dei prestiti, vi è un ridimensionamento dei piani industriali, con meno investimenti fissi e più rimanenze di magazzino indotte dalle minori vendite. E’ quello che sta accadendo ad Orvieto, un eccesso di risparmio.

Eccesso di risparmio significa così crollo degli investimenti produttivi?

Proprio così. Aggiungerei che se non si vuole che anche l’aggiornamento del capitale produttivo già impiantato declini, bisogna necessariamente fare in modo che all’aumento dei depositi corrisponda un aumento degli impieghi bancari verso le imprese del territorio.

Quali sono le cause di tutto ciò?

Mi permetta un’espressione poco tecnica ma che rende bene l’idea, c’è uno “sciupio” di risparmio. Ovviamente, come sempre in economia, vi è pluralità di fattori. In primo luogo, la stasi demografica e la distribuzione del reddito concentrata sulle fasce più alte sono entrambi elementi importanti che certamente determinano questa situazione. In secondo luogo, non va trascurata però la contenuta dimensione delle imprese e anche la natura “familiare” di molte aziende del territorio, fattori che incidono sensibilmente sulla redditività e la crescita delle imprese orvietane.

Le imprese dell’orvietano sono molto più a rischio di altre?

Dall’ultimo Osservatorio permanente sulle prime 20 imprese di capitali elaborato dal CTS, anche escludendo il caso Vetrya, emerge che nel 2019 il MOL (margine operativo lordo) rapportato al fatturato è stato, per le imprese di Orvieto, poco al di sopra del 5% e il MOL per addetto si è attestato attorno ai 20mila euro. Le imprese fuori dal comune di Orvieto si sono attestate rispettivamente all’8,6% e attorno ai 56 mila euro per addetto. In conclusione, vi sono molte cause che determinano una contenuta redditività delle imprese, ma molte di esse sono evidentemente correlate al deficit d’investimento.

Perchè secondo lei vi è nel nostro territorio questa mancata crescita del credito alle imprese da parte delle banche?

Il fatto che il credito effettivo rimanga molto al di sotto rispetto a quello potenziale, garantito dall’alto livello dei depositi, può dipendere sia dalla domanda che dall’offerta di affidamenti. Probabilmente la spiegazione sta in un mix tra domanda e offerta, per cui la contenuta redditività aziendale corrente induce, se proiettata nel futuro, aspettative non ottimistiche aumentando così il rischio d’insolvenza percepito dalle banche. Allo stesso modo gli imprenditori possono sviluppare una visione pessimistica sull’andamento del futuro e procrastinare così i loro piani di sviluppo.

Quali le soluzioni perseguibili e in che tempi?

Le linee d’intervento, sono riassumibili secondo tre approcci: in primo luogo, il miglioramento tecnologico, in secondo luogo un cambiamento organizzativo, in terzo luogo una rivisitazione del ruolo funzionale dell’imprese dell’orvietano all’interno della «catena del valore», con la finalità di svolgere, in luogo delle attuali, quelle fasi del ciclo di produzione a più alto valore aggiunto. Da ultimo, un cambiamento nelle relazioni tra imprese (integrazione, deverticalizzazione, partnership, accordi di rete) e nei mercati del lavoro (un nuovo “modo di produzione” maggiormente volto al digitale e sfruttando anche le nuove possibilità dello smart working). Occorre innovazione! Il che richiede tempo, pianificazione e investimenti. Per questi ultimi vi sarebbe già lo stock di risparmio accumulato, investito in depositi e pertanto trasformabile in impieghi, in cerca di idee innovative.

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Appello del SITI agli azionisti BPBari, costituitevi parte civile nel procedimento penale contro i collaboratori degli Jacobini

Banca Popolare di Bari naviga ancora in acque piuttosto mosse e in audizione alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, Giampiero Bergami, ad del gruppo BPB, ha spiegato che il rapporto cost income è molto alto e la strada da percorrere è ancora lunga.  La presidente della commissione, Carla Ruocco, ha assicurato che l’obiettivo primario è un ristoro per gli azionisti.  E proprio questi ultimi, infatti, sono per ora rimasti drammaticamente alla finestra in attesa dell’evolvere degli eventi sia societari che giudiziari.  Domenico Bacci, presidente del sindacato SITI, Sindacato Italiano per la Tutela dell’Investimento e del risparmio di Milano, che rappresenta gli interessi degli azionisti Popolare Bari, e l’avvocato Paola Cagossi del Foro di Bologna, che li assiste, ci hanno tracciato un quadro definito proprio dell’andamento giudiziario per gli azionisti.  Bacci ci tiene a sottolineare che “siamo fiduciosi per i prossimi appuntamenti giudiziari, questa è la strada attraverso la quale gli azionisti potranno avere finalmente un ristoro”.  Ma a che punto siamo con i procedimenti giudiziari?  Paola Cagossi spiega, “attualmente i procedimenti avviati nei confronti degli Jacobini e dei loro collaboratori sono due.  In un primo filone, quello che vede protagonisti gli Jacobini, in particolare, gli azionisti sono stati ammessi come parte civile, ma e’ stata esclusa la chiamata del responsabile civile, la Stessa Banca.  In un secondo procedimento contro i collaboratori più stretti della famiglia Jacobini è ancora possibile aderire alla richiesta di costituzione di parte civile fino all’udienza dibattimentale che sarà fissata all’esito dell’udienza preliminare tutt’ora in corso innanzi al GUP dr. Galesi.  Voglio sottolineare come la Popolare di Bari sia, a nostro parere, responsabile del malfatto dei suoi esponenti, ma nel primo procedimento il Tribunale ha ritenuto non praticabile la sua chiamata in causa,  perché la  Procura di Bari, dopo aver estratto la copia forense del materiale ivi reperito, ha riconsegnato i device ed i supporti elettronici agli indagati, sicché al l Tribunale non è rimasto altro che constatare che il dissequestro ha reso irripetibile la prova rispetto al responsabile civile Banca Popolare di Bari che nella fase delle indagini non era stata avvertita dell’operazione. La rigida interpretazione dell’art. 96 cpc, peraltro caldeggiata strenuamente dalla Procura in udienza, ha determinato l’esclusione del responsabile civile da quel procedimento, con buona pace degli azionisti”.  Sempre Cagossi spiega, “gli azionisti di BPBari sono stati e continuano ad essere trattati in maniera diversa da quelli delle banche venete e delle altre con insolvenza dichiarata nel medesimo periodo.  In estrema sintesi l’azionista pubblico ha acquisito il controllo del gruppo bancario pugliese perché la politica ha scelto di non farlo fallire, caricando il costo in primis sulla collettività ma sicuramente anche sui piccoli azionisti che non hanno visto un euro a differenza degli altri delle banche sopra citate che invece hanno ricevuto e stanno ricevendo i ristori”.

Ricordiamo che per gli azionisti delle banche venete, di Banca Etruria di CariFe è intervenuto il FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori) istituito con la legge 145 del 30 dicembre 2018 e successive modificazioni, con una dotazione iniziale di 525 milioni annui per il 2019, 2020 e 2021.  L’obiettivo è quello di indennizzare i risparmiatori danneggiati da quelle istituzioni bancarie poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 2018, a causa delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e buona fede oggettiva e trasparenza previsti dal TUF (testo Unico in materia di intermediazione finanziaria).  Domenico Bacci, segretario del SITI, interviene sottolineando come proprio il sindacato avesse “presentato una petizione per portare all’attenzione della politica la questione dei piccoli azionisti della Popolare di Bari ( che e’ ancora possibile sottoscrivere ) visto che il crac finanziario è del tutto assimilabile a quello delle banche venete, ad esempio.  Nel  gennaio 2020 – prosegue Bacci – abbiamo organizzato una riunione con oltre 500 azionisti della POPOLARE BARI presso la Fiera del Levante, proprio per spiegare la necessità, a latere dei procedimenti penali, di introdurre anche per loro una forma di ristoro diretto, e tra queste il Fir,  ma per evitare la procedura c’è stata una forte opera di disinformazione basata sul fatto che agli azionisti delle banche che hanno aderito al FIR è stato riconosciuto il 30% del valore perduto, mentre per quelli di Bari si poteva ottenere molto di più!.  Ad oggi gli azionisti di Bari sono ancora senza ristoro mentre agli altri stanno arrivando i soldi”. Ci sono però le sentenze dell’arbitrato bancario ma anche in questo caso, continua Bacci, “la banca continua a non pagare le ingiunzioni arbitrali.  L’unica proposta messa in campo è quella risibile dei 2,38 euro per azione che presuppone la rinuncia al contenzioso ed è riservata solo ai cosiddetti soggetti fragili, veramente poca cosa”.   Le prossime mosse, dunque, sono fondamentali per i piccoli azionisti, a partire dalla richiesta di costituzione di parte civile nel secondo procedimento penale a carico dei collaboratori più stretti degli Jacobini.  Spiega Bacci, “siamo fiduciosi che questo secondo processo vada a sanare la situazione degli azionisti di BPBari.  Se qualcuno non si è attivato è possibile farlo aderendo al SITI e seguendo tutte le indicazioni sulla documentazione necessaria per la costituzione di parte civile.  I tempi sono stretti perché si può agire fino alla data dell’udienza dibattimentale che potrebbe essere fissata per i primi mesi del nuovo anno”.  Nella pagina internet per la costituzione di parte civile del SITI sono presenti i modelli e l’elenco dei documenti con tutte le deleghe.  “E’ una procedura semplice – sottolinea l’avvocato Paola Cagossi – ma necessaria se si vuole combattere.  Tra i documenti c’è anche un modulo di auto-valutazione per le modalità di vendita delle azioni da parte dell’intermediario.  Questa è una possibile seconda strada da seguire presentando il dossier all’arbitrato bancario”.  Sempre l’avvocato Cagossi spiega che “le modalità illecite di collocamento in questo caso, riguardano non soltanto le cosiddette operazioni baciate ma il fatto che nella documentazione non è chiaramente spiegata l’illiquidità del titolo, questo riguarda quasi il 99% dei casi che abbiamo fin qui esaminato”.  Ribadisce Domenico Bacci, “basta la dimostrazione della non chiara indicazione di illiquidità per poter agire”.  E’ bene ricordare che il valore delle azioni di BPBari, così come quella di molti istituti di credito simili, veniva deciso “in house”.  Poi è arrivata la quotazione all’Hi-MTF “che è un sistema di scambio – sottolinea Bacci – un S.S.O. multilaterale che si differenzia da quello precedente denominato bilaterale.  Diciamo che hanno dovuto farlo e cambiando il sistema si è compreso che c’era tanta offerta e poca domanda, cioè il titolo era del tutto illiquido: Informazione non fornita ai sottoscrittori”. 

Prima di concludere due domande, ci sono rapporti con il nuovo azionista di controllo ed è comunque un vantaggio avere come controparte lo Stato?

Domanico Bacci interviene subito, “assolutamente, il SITI non ha avuto rapporti con la nuova proprietà ma posso assicurare che la linea di condotta non è mai cambiata.  Non c’è un tavolo di trattativa serio, e i fondi FIR sarebbero lì disponibili per essere eventualmente destinati agli azionisti della BPBari, ma la politica non si muove”. 

Sulla stessa lunghezza d’onda l’avvocato Paola Cagossi, “si ha la netta sensazione che la politica si sia mossa per tutelare la partecipata BPBari a spese del piccolo azionista e che la Procura abbia commesso una leggerezza quando ha riconsegnato gli apparati elettronici agli indagati invalidando qualsiasi prova per i procedimenti successivi per sua stessa ammissione”

Ambedue rimangono comunque fiduciosi del fatto che questa nuova possibilità di costituzione di parte civile è un’opzione da non sprecare da parte dei piccoli risparmiatori e una strada aperta, la piu’ diretta e semplice, per ottenere il giusto ristoro.




BPBari, nessun allarme obbligazioni ma incertezze sul futuro del gruppo

A poco più di due mesi dalla scadenza delle obbligazioni emesse dalla Banca Popolare di Bari tra il 2013 e il 2014 in un articolo apparso su “La Repubblica” Edizione di Bari, è stato lanciato un allarme sul pagamento delle stesse.  In realtà non è questo il problema; servono circa 228 milioni di euro per il 31 dicembre.  Ricordiamo che queste obbligazioni erano state emesse a latere degli aumenti di capitale propedeutici all’acquisto in particolare di Tercas da parte dell’istituto bancario allora guidato da Marco Jacobini.  Il resto è ormai storia.  La famiglia Jacobini accusata e sotto inchiesta per vari reati ha obbligato Bankitalia a nominare i commissari straordinari che hanno gestito la transizione verso il gruppo oggi controllato da MCC, cioè dallo Stato.  L’avvocato Augusta Dramisino, rappresentate ufficiale degli obbligazionisti ha sottolineato che “in realtà non vi è alcun allarme sul pagamento delle obbligazioni, si chiede da tempo una comunicazione più dettagliata sul rimborso che non è possibile desumere unilateralmente dalla lettura di una semestrale, documento contabile della banca, pubblico ma di non immediata comprensione per tutti”.  La semestrale di BPBari ha chiuso con un rosso da 101 milioni di euro con i vertici che hanno deciso di utilizzare una parte del capitale per restringere il debito.  Nel prossimo futuro sarà necessaria una nuova iniezione di liquidità con una ricostituzione del capitale e un suo rafforzamento.  Per quanto riguarda CariOrvieto, da quanto si evince dalla relazione al bilancio semestrale la banca locale opera sotto i ratios in deroga da parte di Bankitalia.  Per questo è previsto un aumento di capitale di “almeno 27 milioni di euro” oltre un drastico taglio dei costi generali come, ad esempio, alcune filiali.  Tornando alla capogruppo è chiaro, dal bilancio, che ci sia un’attività tipica debole a fronte di una voce cospicua di entrata per oltre 3 miliardi di euro derivante da fondi UE; di questi circa un miliardo sono stati destinati alla CariOrvieto. 

L’avvocato Dramisino spiega, “le perdite degli esercizi 2020 e 2021 erano previste dal piano industriale predisposto dai commissari anche se non se ne conoscono le previsioni perché il piano non è pubblico ma veicolare questa condizione come normale in un risanamento, a chi ha già perduto una fetta di capitale investito in azioni e chiede di ricevere dettagli e rassicurazioni sulle obbligazioni, che non si limitino a mere dichiarazioni è arduo; quindi non c’è alcun allarme ma è importante riuscire a comprendere dalla banca quali sia la sua politica per l’immediato futuro”.  Leggendo il bilancio, poi, non ci sono risorse congrue per quanto riguarda i contenziosi già passati in giudicato e per quelli in essere, un’altra voce che potrebbe appesantire nel giro di pochi trimestri il bilancio del gruppo.  Quella che manca è la comunicazione da parte dei vertici sia della capogruppo che della controllata CariOrvieto.  Niente si sa e niente trapela sui programmi futuri del gruppo.  Gli unici a parlare sono i numeri con un gruppo che fatica a crescere a fronte di un comparto in recupero.  Il progetto di creare un gruppo bancario dedicato al Mezzogiorno è chiaro tanto che si prospetta anche la possibile operazione sugli sportelli MPS nell’area e in parte dell’Umbria proprio per avere le dimensioni necessarie per essere presenti sul mercato visto che da tempo Bankitalia auspica nuove aggregazioni per snellire il sistema e renderlo più profittevole.  Anche questa eventuale operazione dovrà essere finanziata probabilmente tramite un aumento di capitale con MCC che dovrà mettere mano al portafoglio nonostante proprio BPBari abbia causato perdite per 48 milioni euro alla capogruppo. Il futuro è dunque complesso anche se il direttore generale Giampiero Bergami ha ribadito nelle rare interviste che “il piano banca del sud va avanti anche se abbiamo perdite per 101 milioni di euro”

La mancata comunicazione ha comunque generato molti malumori proprio tra quegli azionisti-obbligazionisti che ritengono di non assistere a un’inversione di tendenza nei rapporti con la banca che continua a rifiutare le sentenze dell’arbitrato bancario e non spiega le modalità di rimborso dei titoli in scadenza il prossimo 31 dicembre.




Luciano Fiori alla guida della mutua SMS Centro attiva in Toscana e Umbria

Luciano Fiori è il nuovo presidente della SMS Centro. La nomina arriva all’apice di un percorso maturato prima all’interno del Banca Centro poi in quello della Mutua.

La SMS Centro, nata nel 2007 sulla base della legge sulle società di mutuo soccorso del 1886 e poi adeguatasi alla normativa del terzo settore, è la prima Mutua toscana nata nell’ambito del mondo del credito cooperativo: pensata come una sfida, adesso è un punto di riferimento.

“La mutua ha fatto un percorso di crescita importante anche grazie al socio sostenitore Banca Centro– ha commentato il neo presidente Luciano Fiori -. L’organizzazione si è fatta via via più complessa anche in virtù dell’aumento dei soci e dei territori in cui si è attivata: tra Toscana e Umbria abbiamo 3500 soci di cui un migliaio minorenni. Nell’arco di 14 anni la Mutua ha erogato 320mila euro di sussidi alle famiglie e 50mila euro rimborsi e sussidi sanitari. La mutualità volontaria e il metodo della reciproca assistenza sono alla base del nostro patto sociale“.

In questo particolare momento storico l’attenzione si è concentrata sull’aspetto sanitario con importanti campagne volte a sostenere le famiglie nelle spese sostenute per i tamponi Covid, ma la SMS guarda con fiducia al 2022 per riprendere anche le attività culturali.

Nel frattempo è stata rafforzata la presenza sul web e sui social per raggiungere i soci in ogni momento, attraverso il canale YouTube e alla pagina Facebook e con la messa on line del nuovo sito realizzato nell’ambito del progetto “Una banca, una Mutua”: su questa piattaforma i soci troveranno tutte le informazioni necessarie per iscriversi ed usufruire dei servizi della mutua. Un aggiornamento al passo coi tempi per essere vicini a tutti i soci, da Livorno a Terni.

“Attraverso l’ attaccamento al territorio, la SMS Centro rappresenta un patrimonio valoriale fondato sulla partecipazione – ha aggiunto il presidente Fiori-: raccolgo l’eredità di Daniele Giovannini, che rimarrà al nostro fianco come presidente onorario, e tutti i consiglieri che si sono avvicendati in questi anni. Insieme al vice presidente Carlo Peruzzi, che vanta una lunga esperienza nello sviluppo dell’attività prima della Banca poi della Mutua, stiamo studiando dei pacchetti di servizi e screening per tutte le fasce di età, oltre ad ampliare la rete dei convenzionati. Vogliamo dare alla mutua un’identità forte creando maggiori servizi per i soci in tutti i settori, imprimendo una svolta altamente professionale e snellendo gli aspetti burocratici per dedicare tempo ad attività ad alto valore aggiunto“.




Cgil dell’orvietano, “no alla chiusura degli sportelli bancari nei piccoli comuni”

La CGIL è fermamente convinta che la chiusura di sportelli di istituti di credito, soprattutto posti in piccoli comuni dell’orvietano, sia un ulteriore elemento che contribuisce alla regressione del territorio in termini sociali ed economici. Le filiali dislocate sui territori, sono state costruite nel tempo su solidi rapporti di fiducia tra comunità e banca e spesso hanno costituito un sostegno importante per economie famigliari e per le piccole imprese.

Occorre vigilare affinché la progressiva telematizzazione dei servizi bancari, per una fascia importante di cittadini, non venga a costituire problema e isolamento, a fronte soprattutto della elevata età demografica di questi tessuti di comunità, tenendo conto che il nostro ambito è quello più “anziano” dell’Umbria e tra i primi in Italia. Il nostro sindacato al tavolo ha sostenuto tutto ciò, anche nella misura della difesa occupazionale, altro punto cardine e prioritario. Non condividiamo in ogni modo la chiusura di questi sportelli.




Praesidium, con Bari continua il dialogo e la ricerca di un ristoro per gli azionisti di BPB

Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo una nota dell’Associazione Praesidium relativa al secondo incontro che la stessa ha avuto con i vertici della Banca Popolare di Bari relativamente alla situazione degli azionisti del gruppo bancario pugliese.

Come avevamo annunciato, si è tenuto il secondo incontro tra l’Associazione Praesidium ed i vertici della Banca Popolare di Bari.  In tale incontro si sono definite le modalità con cui si svolgerà un procedimento di conciliazione “solidaristico”, teso ad aiutare persone proprietarie di azioni della Banca Popolare di Bari, emesse prima del 2014, che si trovano attualmente in difficoltà per motivi di salute o per motivi economici legati alla situazione determinata dalla pandemia.

A tale scopo si è deciso di istituire una commissione paritetica, a cui parteciperà un rappresentante della CRO e uno di Praesidium, che dovrà esaminare le domande di indennizzo sottoposte dai soci e rientranti nel regolamento che sarà a breve pubblicato e che Vi sottoporremo.  Analoga iniziativa si terrà a Bari.  Nell’incontro è stata anche esaminata una possibile modalità di utilizzo delle minusvalenze derivanti dalla svalutazione delle azioni ai soli fini fiscali.  Trattandosi di argomento tecnico molto complesso, ci riserviamo un approfondimento direttamente con gli associati che ne avessero necessità per mezzo di un apposito incontro da tenersi telematicamente e singolarmente.  Siamo stati inoltre informati della risposta negativa da parte della UE in ordine al riconoscimento dei danni causati alla BPB dalla nota questione del blocco degli aiuti del FITD (Fondo interbancario di tutela dei depositi), considerati aiuto di stato dalla stessa UE, al momento dell’acquisizione di Tercas. La banca insisterà sull’argomento e le risorse eventualmente reperite potrebbero in parte andare anche a beneficio dei soci.

La BPB ha infine promesso di insistere presso le Istituzioni per il riconoscimento della possibilità per gli azionisti di ottenere un indennizzo dal F.I.R. (Fondo indennizzo risparmiatori), ad oggi previsto soltanto per gli ex soci delle banche poste in liquidazione coatta amministrativa.  Su questo punto, come fatto presente nelle precedenti comunicazioni, continuiamo però a nutrire un certo pessimismo.