Sei orvietano doc o sei andato a lavorare fuori? Allora sei un peccatore e un pericoloso rivoluzionario

Gira in città un mantra, “tornano freschi, freschi da fuori e vogliono guidare la città”.  Quindi secondo la vulgata sparsa ad arte, andare via è un peccato mortale che non si può perdonare, mai.  La frasetta viene detta durante qualsiasi discussione quando si parla di elezioni e candidati.  Il riferimento è chiaro a due dei quattro totali ad oggi: Palazzetti e Conticelli, ma non vale solo per loro, per tanti, troppi.

Nel passato, addirittura, si diceva, “vai a fare esperienza fuori!”.  Oggi cosa è cambiato?  Nulla o quasi.  Soprattutto se si prendono in considerazione i dati macro-economici del territorio: declino demografico e economia asfittica.  Quindi se una persona parte, candidata o meno, per seguire le proprie aspirazioni, che qui non trovano soddisfazione, è colpevole di lesa maestà.  Eppure un’occasione di lavoro, tra l’altro in linea con i propri studi, non capita tutti i giorni. 

La domanda da porsi e che dovrebbero porsi sindaci passati e presenti, ma soprattutto futuri, è un’altra: perché tanti giovani lasciano Orvieto?  Secondo le approfondite analisi del CTS l’economia territoriale è incentrata sul turismo, che però non crea rete, sull’agricoltura e terziario classico, non avanzato.  Non solo, la ricchezza è concentrata tra gli over50, con propensione bassa all’investimento e quindi allo sviluppo delle imprese. E last but not least, le prime due aziende orvietane sono Enti pubblici, Comune e USL, sintomo che manca un tessuto economico-produttivo capace di attrarre figure professionali di alto profilo. 

Poi c’è un male tutto orvietano per cui vale solo ed esclusivamente l’antico motto “mors tua vita mea”.  Già, non si guarda alla propria crescita professionale, economica, sociale e familiare; non si pensa a come migliorarsi, magari semplicemente studiando, ma a come distruggere l’altro, se poi è “forestiero” parte la frase “ma che pensa di fare qui?”. 

Più del forestiero, però, il peccatore peggiore è l’orvietano che, secondo alcuni, dovrebbe rinunciare ai suoi sogni, ai suoi guadagni e alla sua crescita professionale pur di rimanere abbarbicato sulla Rupe.  Se poi lo stesso riporta la propria esperienza, le proprie competenze in città allora scatta il tam-tam del dubbio, della battutina, del “ma se non sapeva fare la ‘o’ con il bicchiere quando era giovane!”… Come dire, non si cresce, non si matura e si rimane fermi al palo. Per sempre.  A nulla servono gli studi universitari, i master, i curricula, le esperienze lavorative, vale solo l’infanzia e l’adolescenza e basta.  Lo stesso dicasi per nuovi modelli di business, nuove attività imprenditoriali provenienti da orvietani d’adozione che hanno scelto però la città perché convinti e, magari, innamorati di Orvieto.  No, vengono considerati troppo spesso predatori che sono arrivati nel “paesello” per fregare il prossimo. Così Orvieto rischia di non crescere, di perdere treni importanti e soprattutto di non avere orvietani che decidono di tornare per investire denaro, tempo, idee per il bene della città e del futuro dei suoi cittadini.