Padre Chiti “torna” a Orvieto. Traslata la salma al convento dei Cappuccini, intensa l’omelia del vescovo Sigismondi

E’ stato un week-end intenso, emozionante e di fede quello del 5 e 6 ottobre a Orvieto con l’accoglienza delle spoglie del venerabile padre Gianfranco Maria Chiti, avvenuta sabato pomeriggio al Convento dei Cappuccini San Crispino in Orvieto, ove si è celebrata la S. Messa, benedetta la Cappella e esposta la salma alla venerazione dei fedeli. Domenica, poi, il feretro è stato trasportato in Cattedrale. Qui il Vescovo Gualtiero Sigismondi ha presieduto una solenne Celebrazione Eucaristica.

Nell’omelia – di cui sotto si riporta il testo integrale -, ha ringraziato “quanti hanno reso possibile il ‘transito’ delle spoglie mortali di p. Chiti da Pesaro a Orvieto”, ha messo in luce le notevoli qualità della sua persona e “il messaggio che, nella sua lunga e laboriosa giornata terrena, il Venerabile, ‘orafo della parola’, passato ‘dalla caserma al convento’, ‘dalla divisa al saio’, ha scritto con gesti e parole”; un messaggio che continua a interpellare ciascuno di noi. Ha quindi affidato alla sua intercessione la nostra preghiera per la pace e concluso con queste parole: “Il venerabile p. Chiti, ricco d’eroica fermezza cristiana e patriottica, ci ottenga l’audacia – auspicata da Angelo Giuseppe Roncalli nella sua veste di diplomatico – ‘di cercare quello che unisce e mettere da parte quello che divide’”. Si è inoltre recitata la Preghiera, composta da Mons. Gualtiero, per chiedere l’intercessione del venerabile p. Chiti (il testo è riportato sotto).

Alle 13:00, c’è stata la tumulazione, in forma riservata, nella Cappella all’interno del Convento dei Cappuccini. La salma è stata scortata da una pattuglia di Carabinieri in moto e ricevuta tra gli altri da un picchetto d’onore dei Granatieri di Sardegna e dell’Associazione Nazionale dei Carabinieri Sez. di Orvieto. L’ANC – Carabinieri – Sez. di Orvieto, presente con il suo presidente ed il consiglio direttivo al completo, ha fatto dono della Bandiera Nazionale che ricopriva la bara del “sacerdote esemplare ed infaticabile annunciatore del Vangelo, dell’amore e della fratellanza”.

 

Qui il testo integrale dell’omelia di S.E. Gualtiero Sigismondi:

“In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso” (Mc 10,14-15). Questo insegnamento di Gesù, proposto dalla liturgia della Parola, è adatto a delineare il profilo di p. Gianfranco Maria Chiti, padre buono dall’aspetto severo e austero il quale, senza creare dipendenze affettive o paternalismi, sapeva mettersi a disposizione di tutti con la semplicità disarmante di un bambino. Nei suoi occhi raggianti, da cui traspariva maturità umana e autorevolezza spirituale, risplendeva una “luce gentile”, come si evince dalla foto che lo ritrae con San Giovanni Paolo II, il quale non era solito sostare sugli occhi di chi gli stava davanti; e tuttavia lo sguardo penetrante e disarmante di p. Chiti riesce a catturare e incantare Papa Wojtyla.

I paletti della tenda della tomba di p. Chiti oggi vengono spostati presso il convento di San Crispino, da lui restaurato con l’obiettivo di creare “un luogo sobrio, umile, ma non misero”. Egli, che sopra la divisa ha indossato la nuova uniforme del saio francescano, dal 24 gennaio 2024 è invocato come venerabile. Se si leggesse il vocabolario del “catalogo dei Santi” alla luce del gergo militare, si potrebbe dire che p. Chiti, selezionato come servo di Dio, è stato reclutato come venerabile. Gli ulteriori requisiti per la beatificazione e la canonizzazione sono analoghi a quelli necessari per entrare in Accademia Navale, essendo la Chiesa la “navicula Petri”.

Il processo di canonizzazione del “Generale arruolato da Dio” – avviato dal mio predecessore S. E. mons. Benedetto Tuzia insieme alla Commissione da lui nominata – è stato aperto ante litteram dai suoi superiori, in caserma. Nel Libretto personale è presentato come un asceta irreprensibile. “Tutto in lui è cristallino e senza incrinature: onestà, sentimenti, opere sono sempre su un piano di elevazione irraggiungibile dagli altri. Capacità professionale eccellente, dedizione illimitata, di esempio costante. Emerge: ha il privilegio raro di riscuotere ammirazioni e consensi unanimi. Ed egli non s’avvede del patrimonio che porta in sé perché lo vela di umiltà e modestia”.

Nel ringraziare quanti hanno reso possibile il “transito” delle spoglie mortali di p. Chiti da Pesaro, a cui egli ha sempre guardato “come un naufrago al porto avvistato”, a Orvieto, “città eucaristica posta sulla Rupe”, avverto la responsabilità, condivisa con l’Ordine dei frati minori cappuccini, di contribuire a diffondere il messaggio che nella sua lunga e laboriosa giornata terrena ha scritto con gesti e parole. L’eloquenza dei gesti di uno stile di vita austero – fatto di raccoglimento, di silenzio, di preghiera e di mortificazione – l’ha reso “orafo della parola” – sobria, essenziale, chiara, serena, come si evince dal suo epistolario – la quale, secondo San Basilio Magno, è “icona dell’anima” (Epistole, 9,1). La sua parola d’ordine era la parrhesìa, la libertà di parola.

“Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18): questo pensiero, posto dall’Autore del libro della Genesi sulle labbra di Dio dopo aver plasmato l’uomo “con polvere del suolo”, p. Chiti lo ha tradotto in modo originale, da “certosino in convento”, mantenendo in tensione dinamica la cura della vita interiore e la vita fraterna. La temperanza nel vincere se stesso, il più strenuo dei combattimenti, ha fatto risplendere, trasfigurate dalla santità, le sue virtù umane. “La sua impostazione di vita era militare e questa disciplina – osserva p. Antoine Haddad, assistente del Postulatore generale dell’Ordine dei cappuccini – traspariva nella sua vita religiosa, ma del tutto trasfigurata”.

In un tempo come quello attuale, funestato dal flagello della guerra che p. Gianfranco Maria Chiti ha visto in faccia, affidiamo alla sua intercessione la nostra preghiera per la pace, bene tanto prezioso quanto fragile. Edificante è il suo concetto di “guerra senza odio”. “In guerra (…) l’altro non è un nemico ma un avversario, è un figlio di Dio, ha una madre che lo aspetta”. In una sua conferenza, tenuta il 18 dicembre 1982 all’Accademia Militare di Modena, egli affermava fra l’altro: “Occorre che teniate presente che per migliorare il mondo, come voi tanto desiderate, non vi è che un mezzo: migliorare noi stessi. Chi riforma se stesso, riforma il mondo”.

È dalla durezza del cuore dell’uomo che nasce la guerra, quella che si combatte nei campi di battaglia e persino dentro le pareti domestiche (cf. Mc 10,2-12). “Per fare la pace ci vuole coraggio – avverte Papa Francesco –, più che per fare la guerra”. Il venerabile p. Chiti, ricco d’eroica fermezza cristiana e patriottica, ci ottenga l’audacia – auspicata da Angelo Giuseppe Roncalli nella sua veste di diplomatico – “di cercare quello che unisce e mettere da parte quello che divide”.