La politica “artigianale” dell’impossibile

La politica è l’arte del possibile, come ricorda Claudio Lattanzi. Ma in una Città come la nostra ora ci si aspetta che possa trasformarsi nell’artigianato dell’impossibile. Basta immaginare per un attimo come lavorano proprio gli artigiani: creano e lo fanno spesso dal nulla. Con la volontà di fare qualcosa che non esiste, che nessuno ha tentato, perché era impensabile, impossibile.

Venga perdonato il paragone, ma si pensi al Duomo: sembra assurdo che qualcuno lo abbia realmente costruito e lo abbia fatto a Orvieto. Eppure sta lì. Insegna qualcosa laicamente. Politicamente.

Civicamente. Perché quell’invenzione (multicolore, guarda caso) sconvolge e riunisce in un simbolo, da centinaia di anni, la vita di una comunità. E ve paresse poco…. Chiunque abbia osservato da lontano la campagna elettorale, ormai agli sgoccioli, forse avrà notato la singolare coincidenza con la quale gli articoli sulla politica cittadina si alternavano con i titoli sui treni cancellati o in biblico ritardo, sulla riduzione dei collegamenti e le (fin troppo cortesi) lamentele dei pendolari avviliti. Certo, è doveroso ammettere le difficoltà che incontra un’Amministrazione nel confrontarsi con poteri centrali, regionali, società di gestione e di trasporto. Però, chi ha il privilegio di prendersi cura di una piccola Città non deve scalare l’Everest, solo la Rupe: di quante cose deve occuparsi? Due, tre? Magari quattro o cinque, certamente non centinaia come chi è primo cittadino a Roma, Milano, Palermo.

Una di queste cose dovrebbe essere chiedersi come sia possibile che una banca di Città, che ne porta il nome nelle insegne, non abbia nemmeno un-orvietano-uno nel nuovo Consiglio di Amministrazione, nonostante la Fondazione della Cassa di Risparmio ne detenga ancora un pacchetto azionario rilevante ma, evidentemente, ininfluente. Senza contare il fatto che le nomine sono arrivate a urne praticamente aperte: un atto indipendente e legittimo, ma di una superbia e di una scortesia senza precedenti. Del resto, non si riesce più nemmeno a fermare il treno giusto, tanto si può aspettare il prossimo. Che significa soltanto averne perso uno. E, a quanto pare, essersi distratti anche mentre “passava” una banca.

P.S. Anni fa, un’anziana signora che faceva due passi in Piazza del Duomo fu interpellata da un gruppo di giovani turisti: “A signo’, ma che Orvieto è tutta qui?”. E lei, indicando con fierezza la facciata, dopo una piccata pausa lunga tutti i secoli possibili, li invitò ad alzare lo sguardo: “E ve paresse poco…”.