Il dibattito sul settore turistico a Orvieto: un punto di vista alternativo

L’attività del CTS, le cui tesi sono ovviamente suscettibili di essere poste in discussione, ha avuto il merito, questo invece indiscutibile, di aprire un dibattito sulla congiuntura del settore orvietano della ricezione turistica. La discussione ha preso le mosse dall’articolo dell’AD di CTS, Matteo Tonelli, comparso su Orvietolife del 18 u.s., dove si argomenta, semplificando al massimo, che la situazione del settore non è così florida e che non pare tecnicamente fondato basare solo su esso le possibilità di crescita economica dell’orvietano. L’analisi ha anche avuto il pregio di sollecitare una risposta dialettica, dai massimi livelli della responsabilità del governo della città, in un articolo comparso sulla Nazione del 20 u.s.. Successivamente, sui social, il Sindaco, che ringrazio personalmente per l’attenzione che ha voluto attribuire alle nostre riflessioni, tornando sull’argomento ha ribadito quanto già detto nel precedente articolo ospitato sulla Nazione, rivendicando i meriti dei presunti successi all’attività della Giunta.

In questo mio contributo, vorrei, invece, esaminare la questione sotto un diverso angolo visuale, vorrei cioè proporre una chiave di lettura critica del progetto – di puntare tutte le fiches su un solo settore – che non si basa sui risultati conseguiti ma sulla relazione risparmio-investimento implicita in questa scelta. Per semplificare, mi riferirò al caso di una ipotetica economia che sia “progettata” per offrire servizi ai non residenti: e ciò che vedremmo se disponessimo di una contabilità Orvieto/non-Orvieto.

Una tale economia dipende più dallo stato della congiuntura dei paesi dove risiedono coloro che acquistano i beni e i servizi prodotti da Orvieto che non dalla congiuntura interna. In ogni caso, in un sistema tirato dalle esportazioni vi sono svariate controindicazioni. In primo luogo, l’alea di tale economia, poco diversificata, sarà molto maggiore di quella dei sistemi economici basati su più settori. In secondo luogo, si punterà più a soddisfare i bisogni dei non residenti che non quelli dei residenti che, pertanto, avranno un livello di benessere più basso. Infine, per i prodotti domandati sia dai residenti che dai non residenti (affitto abitativo, beni di consumo, abbigliamento,…) si avrà un’inflazione da domanda con una flessione del potere di acquisto dei residenti: questo effetto razionerà i consumi dei residenti che saranno inferiori rispetto al potenziale.

Quest’ultimo è un aspetto chiave: un’economia costruita per esportare ha un livello di risparmio che eccede quello degli investimenti in maniera pari al livello del saldo del conto della relazione Orvieto/non-Orvieto (saldo delle partite correnti); in sostanza parte del risparmio interno va a finanziare gli investimenti dei non residenti. Quindi, un’economia che si basa sulla vendita a non residenti avrà un livello di consumo inferiore, ceteris paribus, rispetto a quello di un’economia volta alla domanda interna ma a fronte di questo sacrificio del consumatore non vi sarà un premio all’astinenza dato da maggiori risorse per investire.

Questo in molti casi può non essere un problema, specie in habitat caratterizzati da soddisfacenti livelli di capitale per addetto e/o se l’operatore pubblico supplisce alla carenza tramite gli investimenti pubblici: la Germania e la Cina sono esempi in tal senso, invece, gli USA sono un caso di economia basata sulla domanda interna. Al contrario, l’effetto sul risparmio disponibile può invece essere un vincolo alla crescita in contesti di carenza di stock di capitale o nel caso sia necessario un suo adeguamento tecnologico. Come documentato dalle analisi del CTS, almeno per le imprese di maggiori dimensioni, il caso dell’Orvietano sembra essere contraddistinto da necessità di adeguamento del capitale, ciò è mostrato dai contenuti livelli di redditività che non consentono adeguati premio al rischio di impresa sopportato: il rapporto MOL/capitale è circa pari al rendimento di un titolo pubblico, per cui non assicura un compenso per l’intrapresa.

Quindi, dietro al dibattito sulla congiuntura del settore turistico, si nasconde una questione molto più complessa e rilevante: la convenienza a costruire un’economia basata essenzialmente sulle esportazioni e le varie opzioni percorribili per lo sviluppo economico del territorio e la necessità di impiegare all’interno il risparmio disponibile.

Per dirimere su tali questioni non sono sufficienti i dati congiunturali, che in ogni caso secondo le nostre analisi mostrano più di un’ombra. L’analisi andrebbe completata con la stima delle interrelazioni settoriali, cioè di quanto impatta a livello dell’intero territorio uno shock positivo sui vari settori dell’economia: vi sono settori le cui ricadute complessive sono più rilevanti, altri meno. Questo, ovviamente, senza disconoscere l’elevato valore implicito nei giacimenti artistici del nostro territorio. Da ultimo mi si consenta una digressione, interessante solo per chi si muove nell’agorà dei social: in primo luogo, nessuno dei lavori del CTS è mai uscito “coperto” dall’anonimato di uno pseudonimo; in secondo luogo, chiunque abbia collaborato con CTS, promotori o collaboratori, proviene dal mondo delle professioni e/o dell’insegnamento, con decenni di esperienza alle spalle: vorremmo sperare di trovare altrettanta capacità nei nostri interlocutori.