Gianni Rivera, gli 80 anni di un mito

Compie ottant’anni  un mito assoluto del calcio italiano e mondiale, Gianni Rivera. Una lunga carriera cominciata  nelle file della squadra della città che gli diede i natali, l’Alessandria e proseguita per venti anni con una unica gloriosa maglia, quella del Milan con la quale vinse 3 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni,1 Coppa Intercontinentale, esempio assoluto di dedizione ad un solo club e capitano riconosciuto e stimato da compagni ed avversari.
Lo strepitoso campionato d’Europa giocato e vinto nel 1968 con la maglia della nazionale italiana lo porto a vincere, primo italiano nella storia, il Pallone d’Oro del 1969. Allo stesso tempo il secondo posto nei mondiali di Messico 1970 ne rafforzò ancora di più l’immagine di vero Golden Boy del calcio italiano, vittima in quel caso di una staffetta figlia della rivalità con l’interista Sandro Mazzola, che lo portò a giocare quei soli fatidici sei minuti concessi dall’allenatore Ferruccio Valcareggi nel corso della finale persa dalla nostra Nazionale con il Brasile e che ancora oggi a distanza di 53 anni è motivo di polemiche nel calcio italiano.
Giocatore di classe cristallina, una visione di gioco unica nel panorama nazionale che lo portò ad essere considerato il talento più puro del nostro calcio, inventore di quello che i cronisti dei nostri giorni identificano prosaicamente con il “passaggio no look” neanche avessero coniato con questo termine la giocata del secolo, ma che per Rivera in campo era la regola. La capacità di servire il compagno sui piedi anche a distanza di decine di metri, la visione di gioco che lo portava a vedere e prevedere sviluppi che altri non vedevano, la qualità innata nel tenere il pallone incollato al piede e mantenere la testa alta per studiare in pochi frangenti il passaggio migliore o lo schema da applicare più efficace per andare in goal. Basta vedere e rivedere decine di volte il goal del 4 a 3 alla Germania nella mitica semifinale dell’Azteca, con il portierone tedesco Sepp Maier spiazzato con facilità irrisoria dal talento del centrocampista italiano per capire quanta e quale fosse la sua capacità innata di giocare a calcio, che lo portò ad affermare, in una intervista di qualche anno fa che “ il calcio aveva scelto lui e non viceversa”.
Abbinata alla intelligenza calcistica doti intellettive non comuni nei calciatori, soprattutto di quegli anni. Un carattere non semplice che lo portò molto spesso a dissidi tanto con la classe arbitrale quanto con i presidenti che via via si alternavano alla conduzione della società del Milan ed un rapporto con la nazionale non proprio idilliaco che sfociò in quella famosa e già citata staffetta della vergogna. Anche con la stampa e con i media un rapporto non banale con polemiche roventi con i giornalisti, in assoluto la più emblematica con Gianni Brera, grande firma per decenni di cronache sportive che lo definì “Abatino” per via di un fisico non di certo granitico e di scarse doti atletiche, compensate abbondantemente dalla sua intelligenza e dalla sua classe calcistica e che lo esponeva a critiche che Rivera non faceva passare così facilmente e che puntualmente rimandava al mittente con una grande padronanza lessicale e vis polemica e dialettica. Quella vis che lo portò al termine della carriera calcistica ad intraprendere la strada dell’impegno politico nelle file prima della Democrazia Cristiana e poi dell’Ulivo, divenendo parlamentare della Repubblica e arrivando a conseguire il prestigioso incarico di Sottosegretario al Ministero della Difesa e successivamente europarlamentare.
Un fuoriclasse nel calcio, un fuoriclasse nella vita capace di destreggiarsi con la stessa padronanza dei propri mezzi tanto sul rettangolo verde di gioco quanto sugli scranni di Montecitorio a dimostrazione che quando si hanno le capacità ed una mente sopraffina, nella vita si può avere successo qualsiasi attività si intraprenda.
Auguri Golden Boy!