Germani, faraone, colombacce, piccioni e palombelle… elettorali

Ho scoperto che l’ornitologia e la culinaria ben si prestano a descrivere la politica nostrana.  Se in Europa sono detti capoverdi, il più noto da noi, Giuseppe Germani, è semmai caponero, alto e di bella presenza. In questo caso però, come si dice, l’apparenza inganna e a Orvieto ormai più di qualcuno se n’è accorto. Da tempo ad Orvieto hanno aperto la caccia ai germani, sia con gli appostamenti in palude che con i cani da ferma. Passiamo invece alle faraone dal piglio regale e avvezze agli azzuffamenti che si mostrano aggressivi con gli altri polli del pollaio. Nella Città Vecchia è più noto il maschio, il Faraone Stefano Cimicchi che fa scuola, tant’è che Roberta Tardani, l’attuale sindaco uscente, sembra volerlo emulare con il tipico passo della Numida meleagris, popolarmente detta gallina di Faraona. Cosa li accomuna?

Una passione smisurata per l’immobiliare. Il primo passò alla storia comunale come il fautore della politica dei contenitori ricevuti in dote dalla faraonica quanto fortunata stagione dei fondi speciali, con cui più di 40 anni fa Orvieto si rifece il look. Una politica, quella del Faraone che ha però mancato l’obiettivo dei contenuti che poi, in mani meno fortunate, si sono trasformati in debiti. La seconda, la faraona Tardani, con fare imperiale più che regale, ha riscoperto il suo Progetto Orvieto (quale sia poi questo progetto?), una mera citazione elettorale della più nota progettazione dei primi anni ottanta. Oggi sbandiera i suoi progetti glissando completamente sui contenuti (la Casa della salute, il Centro delle politiche sociali, la Casa del Corteo, Palazzo delle esposizioni et cetera).

Insomma un’apoteosi urbanistica a suon di case, centri e Palazzi che riecheggiano appunto i fasti faraonici di una volta. In molti si chiedono però quanto ci costerà questa infelice riedizione immobiliare senza una solida e competente progettazione dei contenuti. Comunque gli orvietani le faraone le amano in salmì. Passiamo alle colombacce. Una volta abbondavano e notoriamente si prendevano al passo; poi improvvisamente sono pressoché sparite, salvo qualche rara eccezione che ha pensato bene di trasferirsi dal contado in centro, direttamente in Consiglio o in Giunta, come Cristina Croce, Beatrice Casasole, Martina Mescolini, Alda Coppola e Donatella Belcapo. Dall’Ascaro abbondavano, poi come si diceva, hanno cominciato a scarseggiare e allora perchè non sostituirli con i piccioni, notoriamente abbondanti da sempre ad Orvieto. Tra questi c’è di tutto, dal piccione selvatico, ormai perennemente a bordo tavolini nelle piazze sempre ad importunare i nostri turisti di passaggio, fino a quelli domestici. Fra questi il piccione viaggiatore ben addestrato e a cui si affidano i messaggi più delicati: Gnagnarini, Gialletti, Sacripanti, Gionni Moscetti e persino Olimpieri, che ha temporaneamente posto la sua tana nel gruppo misto in attesa di una nuova collocazione.  Alla Palomba i piccioni li fanno alla leccarda e i colombai, nell’Orvieto underground, non mancano.

Poi ci sarebbe la Palombella che sembra somigliare tanto a Roberta Palazzetti, competente e tutta d’un pezzo ma soprattutto in grado di volare alto e magari capace di vedere un po’ più in là del naso o dell’angusta rupe.  L’inesperienza politica è tangibile ma la capacità del manager di lungo corso le consente di districarsi tra solerti consigliori politici e consiglieri diplomatici.  E’ percepibile la speranza di molti a che arrivi, magari stordita, sino alla fine. Personalmente riterrei questa possibilità di buon auspicio per consacrare magari un cambio di passo in città.  Questa però è l’opinione di un mezzo busto come me.

Dal Paglia invece fin sui tetti della rupe è arrivata anche la Ciconia Ciconia, volgarmente detta cicogna, con il bonus bebè di Nova, dove c’è inesperienza, troppi consigliori, ma molto coraggio e forza di volontà. Speriamo che tanta freschezza non rimanga isolata sui tetti.

Se non bastasse chiudiamo in bellezza, a sinistra è tornata di moda la caccia, tant’è che il candidato dal lungo codazzo e colorato piumaggio, Stefano Biagioli, è assimilabile al fagiano, la più ambita delle prede dei cacciatori per la prelibatezza delle sue carni. A scortarlo da vicino un fringuello canterino.  Ad maiora!