CRO, tante orecchiette e pochi umbrichelli

Se Orvieto avesse lu mer, sarebbe una piccola Ber. Peccato, il mare non c’è. Però c’è una banca nella quale proprio Orvieto è sempre più piccola, piccolissima. Ci risiamo? Inutile rivangare il passato fatto di difficili rapporti tra la Fondazione e la Popolare di Bari. Inutile ricordare quanta rilevanza (poi anche giudiziaria) ci sia stata in quella storia che, tra i suoi capitoli, ha previsto che la Cassa di Risparmio, a un certo punto, diventasse proprietà di un gruppo (presunto) protagonista in seguito di uno dei tanti (desunti) scandali bancari nazionali. Veramente, non importa più a nessuno. Molti avevano perso risparmi: a loro importa ancora e brucia, forse. Ma ora la “cassa” è dello Stato (Mcc), è solida, è finalmente nelle mani giuste. E fa soldi: quasi 14 milioni di euro di utili in 18 mesi. Chi se lo aspettava: complimenti. In verità, con i tassi in salita, bastava davvero solo mettersi lì e aspettare l’incasso. Ogni azionista di banca a qualunque latitudine d’Europa lo sapeva. E allora, ma quali complimenti: ci sarebbe riuscito anche Paperino. 

Chi ama i dettagli può sorridere che siano ancora baresi (bravi e competenti, questo non si discute) il capo del personale e quello dell’area retail (praticamente il cuore dello sportello); così come lo sia buona parte della seconda linea dirigenziale della banca, il middle management (così definito in gergo) che costituisce l’anima operativa dell’istituto. 

Succede, però, che chi entra in una banca, soprattutto di territorio, speri di essere “capito”. Anzi, lo pretenda. Il tema rinvia a una certa retorica provinciale, un po’ snob. Però se ti compri (o guidi o gestisci o controlli) la banca di Orvieto, con la sede dentro i confini di Porta Romana, non devi per forza fare il ruffiano, ma non puoi nemmeno dare l’impressione di volerla colonizzare, “lobbizzare”, se non commissariare (in senso lato, ci mancherebbe). Come dire: vanno bene le orecchiette, ma qui non puoi dimenticare gli umbrichelli. Al di là dei comunicati stampa balneari sulla celebrazione degli utili e sui cerimoniali con i quali i vertici hanno incontrato le Istituzioni rielette, una domanda è lecita: ma sarà mai possibile che (tranne rarissime e valide eccezioni) su quasi trecento dipendenti non ce ne sia qualcuno meritevole di fare carriera nella propria banca e nella propria città? Se al fatto si aggiunge che la Fondazione azionista non ha spuntato nemmeno un referente nel nuovo consiglio di amministrazione (cosa “istituzionalmente” scortese, se non punitiva) è difficile non farsi un film. Che, obiettivamente, sembra essere un sequel. E qualunque sarà il titolo, già si prefigura un sottotitolo (temuto): “il ritorno”.