Cassa di Risparmio di Orvieto, questa sconosciuta

Alcuni anni fa, un notissimo protagonista della (allora) grande finanza italiana mi disse che “delle banche si può anche parlare male, a patto di farlo con rispetto”. All’inizio sembrò un paradosso ma, con il tempo, questa contraddizione si chiarì.  Tutti nutrono nei confronti delle banche un pregiudizio, ammettiamolo: non piacciono. Sono utili, anzi necessarie, un pilastro fondamentale del sistema, ma zero simpatia. Perciò se ne parla “male”, succede, è un’abitudine della quale i banchieri se ne infischiano, perché alla fin fine gli basta vedere quanto rende (in stipendi, bonus e potere vero) fare il loro mestiere. Con il rispetto è diverso: non riceverne può farli arrabbiare. Ci sta. Però sarebbe il caso che, prima di pretenderlo, anche loro lo mostrassero nei confronti dei clienti, dei dipendenti, degli investitori, delle Istituzioni. Come si dice: se vuoi il rispetto, guadagnatelo. 

Pochi giorni fa l’autorevole “Forbes”, uno dei più famosi magazine economici, nell’edizione italiana, ha pubblicato un’intervista a Francesco Minotti, dal 2023 amministratore delegato del Mediocredito Centrale, banca di Stato che controlla la Cassa di Risparmio di Orvieto.  Minotti parla di un “gruppo bancario universale al servizio del Mezzogiorno, grazie all’acquisto della Banca Popolare di Bari, oggi BdM”. Così tanto universale, evidentemente, da potersi permettere di dimenticare “Orvieto”. E allora, proprio per il rispetto che si dovrebbe a clienti e dipendenti di un istituto, per il quale si ripete in tutti i comunicati il ritornello di quanto sia bravo, bello e radicato sul Territorio (nonostante abbia chiuso filiali qua e là), adesso servirebbe qualche puntualizzazione.

La prima è sulle coordinate geografiche: serve accertarsi se Orvieto abbia cambiato latitudine e sia diventata improvvisamente “Sud”. La seconda è su quelle bancarie: non sarà che quella montagna di depositi degli orvietani, della quale si vanta addirittura il primato regionale, venga (ancora) indirizzata in via preferenziale verso necessità lontane, a sostegno di imprese e famiglie a cinquecentocinquanta chilometri di distanza dalla “cassa”. E poi, la terza, che è in verità una domanda: tutta questa ostentata e pianificata indifferenza, conclamata con il rifiuto all’ingresso nel nuovo Consiglio di Amministrazione (a trazione “romana” e perugina) anche di un solo referente della Fondazione, che ne è ancora azionista, che cosa nasconde? Forse una vendita? Una punizione? O è solo scortesia?

Già. Delle banche si può parlare male, a patto di farlo con rispetto.

Ma forse è molto più facile guadagnare un bonus. Per le banche è questa l’unica regola. Universale.