Cassa di Risparmio di Orvieto in vendita? Compriamola

Facciamolo: compriamo noi la banca. Orvietane e orvietani, avete 3.615 euro a testa da investire? Questa cifra (ottenuta dividendo i 70 milioni per 19.367 abitanti) forse è inattuabile: vanno, infatti, tolti i neonati, i bambini, i disoccupati e quanti non hanno il possesso di una banca in cima ai loro pensieri. Ma il senso è: valiamo forse meno di Desio, Ragusa, Siena, Biella o chiunque sarà l’acquirente? Ci sentiamo così geopoliticamente sfavoriti da non poter competere con chi tirerà fuori 70 milioni di euro? Ecco il punto: oltre ogni ragionamento sulle latitudini, la vera notizia è che la Cassa di Risparmio di Orvieto (il suo 85% in mano allo Stato attraverso Mediocredito Centrale, per l’esattezza) sarebbe in vendita e costerebbe così. Anzi, meno. Il futuro acquirente incasserà in automatico il valore dato da utili non distribuiti (circa 14 milioni di euro finora) e, con ogni probabilità, dai prossimi che matureranno in un periodo che vivrà di tassi in discesa, ma non azzerati.

Perciò, chiunque verrà scelto dalla solita manina, che da sempre scodella queste operazioni, avrà la fortuna di ricevere una dote senza sforzo. Altro che cessione, sembra un mezzo regalo.

Volendo, a quei 70 milioni potrebbe pensare un consorzio di imprenditori: una settantina per un milioncino a testa. Chi ci starebbe? Nessuno, c’è da scommetterci. E fa anche più tristezza perché rappresenta la povertà di prospettiva, idee e risorse alla quale è stato costretto il nostro territorio. Peccato, il sogno finisce già qui.

Orvieto è una bellissima città, ma è strana: ha raccolto firme per riattivare la campana della Torre del Moro, però se le portano via la banca alza le spalle. Resta muta. Indifferente.

Anni fa, quando accadde qualcosa di molto simile, la Fondazione guidata da Gioacchino Messina si mise di traverso: avanzò lei una proposta di acquisto. Un’audace follia calcolata. Qualcuno parlò di fantafinanza, eppure fu raggiunto lo scopo (indiretto) di evitare la fusione con la Banca Popolare di Bari. Un capolavoro. Purtroppo dimenticato.

No, non ci si attende lo stesso da questa Fondazione. I tempi cambiano, le persone anche (non tutte e alcune però non ricordano). Sicuramente sono mutate radicalmente le condizioni: quel piccolo grande potere (si chiama minoranza di blocco), che norme antiche ma sapienti affidavano agli enti con capitali non maggioritari all’interno di istituti di credito, la Fondazione non ce l’ha più per scelta. Obbligata fino a un certo punto, perché non esistono solo i bilanci, i patti parasociali e quelli con i cosiddetti poteri forti: esistono le persone con la loro visione e con il loro coraggio. Questa è l’occasione per dimostrarlo.