“Soltanto venti mesi, un lasso di tempo infinitamente piccolo nella storia di un popolo come nella vita di un uomo. Ma furono venti mesi terribili quanto meravigliosi, densi di eroismo e vigliaccheria, che seppero trasformare l’Italia da paese ottocentesco a nazione moderna, costituendo un ponte tra passato e futuro che non ha paragoni nelle vicissitudini nazionali d’ogni epoca. Un’accelerazione della storia che ci ha fatto crescere fino a cambiare gli italiani per sempre”. La definizione di Resistenza fornita da Roberto Conticelli, autore del libro “La Resistenza in campo” (edizioni Rcs), opera inserita nella prestigiosa collana “Storia del Fascismo” curata dalla professoressa Barbara Biscotti, in uscita il 12 novembre con la copia cartacea de Il Corriere della Sera e acquistabile on-line sulla piattaforma del Corriere Store, inquadra perfettamente i fatti intercorsi in Italia tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, quando furono gli italiani contrari al regime mussoliniano a imbracciare le armi contro fascisti e tedeschi. L’opera scende nel dettaglio di quel periodo storico tanto discusso, definendo personaggi, organizzazioni e circostanze del grande movimento popolare che contribuì alla fine del fascismo. Vi si scorge l’attenzione al particolare scaturita dall’esperienza cronistica dell’autore, ma anche lo sguardo lungo dello storico capace di definire le vicende nel concatenarsi delle varie fasi temporali. Dopo il successo del libro dedicato a Clara Petacci e alle donne del fascismo, Conticelli torna a confrontarsi con la collana storica del Corriere della Sera che annovera tra i propri autori nomi come Valdo Spini e Mauro Canali, figure di primo piano della ricerca storiografica nazionale.
Conticelli, per lei una nuova carriera da storico dunque?
Non la definirei carriera, piuttosto una passione che trova compimento. Durante i quattro decenni del mio impegno giornalistico più intenso non ho avuto il tempo necessario a dedicarmi alla grande storia, essendo preso dalle piccole storie di tutti i giorni. Ora posso farlo con un editore di alto profilo come Rcs, collaborando con la professoressa Barbara Biscotti, apprezzata docente universitaria a Milano, perfetta organizzatrice di un’attività tutt’altro che semplice quale quella di coordinare tanti autori e di accompagnarli lungo l’impervio tragitto della storia nazionale. Sono, beninteso, uno storico dilettante, sorretto però da una base giornalistica, quella del mio mestiere: credo nell’importanza delle fonti e non mi appoggio a divagazioni, preferendo le certezze delle testimonianze. La storia non è fantasia, è fatta di verità verificate, messe insieme e raccontate.
E allora qual è la verità sulla Resistenza così come scaturisce dal suo libro?
Da sempre, purtroppo, il periodo resistenziale è più interpretato che raccontato. La politica utilizza quella fase storica come una bandiera, da sventolare o da strappare in base alla propria appartenenza partitica. In realtà l’importanza della Resistenza italiana è più sociale che militare o politica. Da essa deriva direttamente la Costituzione, che prese per mano un Paese appena uscito dalla tragedia del fascismo e della guerra civile, un’Italia ancora dal sapore ottocentesco poiché quelle idee e quei contrasti scaturivano dal secolo precedente, accompagnandolo finalmente verso la modernità, verso il Duemila. Durante quei venti mesi la storia ha accelerato clamorosamente, ha spinto sul gas. L’Italia dell’8 settembre 1943 guardava indietro, quella del 25 aprile 1945 era proiettata verso il futuro.
Ma cosa accadde davvero in un periodo di tempo così limitato?
Fino all’8 settembre l’antifascismo era stato gestito da pochi valorosi, veri e propri eroi e martiri del loro tempo, da Matteotti ai fratelli Rosselli. Avevano, però, ben poco seguito poiché l’Italia era tutta fascista. C’era l’impero, ci sentivamo i padroni del mondo e i pochi ma coraggiosi antifascisti venivano etichettati come anti-italiani. Il 25 luglio 1943 spezzò l’incantesimo, rompendo dall’interno il patto morale tra gli italiani e Mussolini. Poi l’armistizio e lo sconcertante annuncio di Badoglio sulla guerra che continuava fecero il resto. Inutile nasconderlo: molti fascisti cambiarono casacca, alcuni per genuino pentimento o avendo a cuore le sorti della nazione, altri per opportunismo, per vigliaccheria o semplicemente per salvarsi la vita dopo le brutalità commesse. Andarono a ingrossare le brigate dei patrioti che erano sostenuti da grandi figure, da Sandro Pertini a Luigi Longo, fino a Enrico Mattei, personalità che guidarono il passaggio epocale. Certo, furono questi ultimi a gestire la rivolta, potendo contare però sulla delusione di tanti italiani per i comportamenti del duce e della monarchia. Furono le famiglie che avevano i propri cari in guerra a pretendere il cambiamento, le stesse famiglie che poche settimane prima accorrevano in massa a piazza Venezia.
Una Resistenza, dunque, da non ascrivere direttamente ai partiti o a quanti, magari dall’esilio, si impegnarono a organizzarla?
I dirigenti contarono eccome, così come non può e non deve essere dimenticato il sacrificio di tanti eroi, dai fratelli Cervi a quanti furono rinchiusi e torturati in via Tasso o nelle altre sedi della repressione fascista o tedesca. Ma la svolta decisiva attuata dalla Resistenza non fu esclusivamente militare, come invece viene spesso descritta. Sul terreno dello scontro bellico, senza lo sforzo di uomini e mezzi condotto dagli Alleati angloamericani la Resistenza da sola non avrebbe conseguito la vittoria finale. Il movimento popolare dei ribelli cominciò a contare e risultò decisivo solo quando gli operai delle fabbriche del nord scesero in sciopero e la loro rabbia si andò a sommare a quella di tanti genitori e parenti di militari mandati in battaglia con le scarpe di cartone. Poi la notizia delle stragi tedesche di Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema fu una pietra lanciata nello stagno: l’Italia intera disse no alla cieca violenza e chiuse definitivamente con fascismo e nazismo. A quel punto la sana politica di allora, del tutto diversa dall’attuale, riuscì a interpretare i sentimenti di rivalsa del popolo e varò la Costituzione, che è lo sbocco felice della Resistenza, il suo vero traguardo sociale e morale.
Conticelli, la sua è dunque una Resistenza diversa dalla visione agiografica in voga per tanti anni in Italia. Perché?
Credo che Giampaolo Pansa, che ho avuto la fortuna di frequentare e con il quale mi sono confrontato sull’argomento, ci abbia bene illuminato sul periodo. La Resistenza non fu tutta rose e fiori, non fu un movimento popolare spontaneo e compatto ma, piuttosto, un coacervo di idee diverse e spesso contrastanti. Ci furono stragi tra gli stessi resistenti e addirittura tentativi di avviare una certa linea resistenziale lungo la strada di un potenziale colpo di Stato. Tutto ciò però non inficia il valore complessivo del movimento e non cancella l’esempio di tanti che misero a rischio la propria vita, o che la sacrificarono, per la libertà dell’Italia. Appare come un clamoroso errore, in verità compiuto da molti esponenti politici, quello di voler edulcorare la storia, ma sarebbe sbagliato anche ritenere che non ci fu un vero e proprio ideale della Resistenza, perseguito con fede e coraggio da quanti salirono in montagna armati di pochi fucili e tanta passione civile. La verità della storia non è mai estrema, di solito segue una linea mediana. Nel mucchio di patrioti che festeggiavano il 25 aprile della ritrovata libertà, da essi conquistata con ardimento e sprezzo del pericolo, c’erano fascisti che poi seppero infilarsi nelle pieghe della burocrazia italica fino ad acquisire posizioni di potere nella nuova nazione. Si potrebbe dire: è l’Italia e va così. Ma accanto a questo modo di fare becero e furbesco, favorito dalla politica che chiude gli occhi oggi come allora, è doveroso ricordare l’Italia di Napoli, quella degli scugnizzi che cacciarono gli invasori tedeschi in sole quattro giornate, la prima grande città europea a liberarsi da sola dal nazismo, la prima a sconfiggere Hitler.
Conticelli, a quando il prossimo saggio storico?
Un libro è un esercizio complicato che ti prende anima e corpo. Occorrono pause, magari da impiegare per studi preparatori in direzione di ulteriori obiettivi. Continuo a seguire i miei interessi, che adesso vanno verso la ricerca dei bunker e delle fortificazioni della Seconda Guerra Mondiale ancora presenti sul territorio italiano, dal nord al sud, dalla Sicilia alla Sardegna. Veri e propri monumenti storici che soltanto poche istituzioni locali sanno conservare come si deve per tramandare alle future generazioni i resti di quello che è stato. Giro l’Italia e mi imbatto in un manufatto bellico del periodo, lo fotografo e lo catalogo, ne acquisisco la storia e raccolgo testimonianze specifiche. Il tutto poi potrebbe finire in un libro, chissà. Ma intanto la cosa mi appassiona e questo è già un motivo valido per continuare a farlo.