La pelle invecchia con noi. La ricerca Welcare al servizio dell’organo più vasto del nostro corpo per migliorare la qualità di vita degli anziani

Una popolazione sempre più anziana. Secondo i dati Istat, riferiti al 2023, in Italia la popolazione over 65 è di oltre 14 milioni di persone e l’Umbria si posiziona tra le prime cinque regioni con il maggiore numero di anziani, con una percentuale del 26,8%. Un invecchiamento che determina sempre di più un fabbisogno di assistenza sociosanitaria e che riguarda soprattutto gli ultraottantenni, oltre 4 milioni e mezzo nel nostro Paese. Una popolazione che, con il progressivo invecchiamento, è soggetta a patologie croniche ed a problematiche cutanee. La pelle richiede pertanto cure specifiche e mirate per mantenere la sua funzione protettiva e contribuire alla nostra salute generale.

La pelle, con il passare degli anni, diventa più fragile, perdendo elasticità e capacità rigenerativa. Questo rende gli anziani più suscettibili a lesioni, infezioni e ad altre problematiche cutanee. In Umbria, dove l’alta percentuale di popolazione over 65 è spesso curata a domicilio, i problemi che riguardano la pelle investono molte persone. La pandemia da Covid-19 ha acceso i riflettori sull’importanza della pelle come uno dei primi indicatori dello stato di salute. Durante il periodo pandemico, la pelle ha infatti avuto un ruolo fondamentale nella rilevazione della malattia attraverso molteplici segni tra cui la presenza di orticaria, eritemi, eruzioni cutanee e vasculite, un’infiammazione dei vasi sanguigni che determina ulcere agli arti inferiori. È stato osservato inoltre un aumento della gravità dei sintomi direttamente proporzionale all’età dei soggetti malati.

La pandemia da Covid-19 ha anche dimostrato l’importanza dell’assistenza domiciliare, specialmente per la gestione delle persone con patologie croniche, che in Italia sono quasi il 45% degli over 65 e circa il 18% della popolazione dai 15 anni in su. Nel nostro Paese, peraltro, oltre due milioni di persone sono affette da lesioni croniche, come evidenzia l’Associazione Italiana Ulcere Cutanee (Aiuc). A questo va aggiunto che la maggioranza delle famiglie deve gestire autonomamente l’assistenza ai propri cari: il 33% di queste ospita un familiare bisognoso di supporto ma solo il 5% riceve aiuto esterno. Questo carico ricade quindi sui familiari, che devono “inventarsi” da zero il ruolo di assistente sanitario.  L’assistenza domiciliare è quindi una sfida sanitaria da cui il “sistema salute” non può sottrarsi.  E come sottolinea Fulvia Lazzarotto, CEO di Welcare Industries “Bisogna puntare su un modello di sanità che coinvolga attivamente il paziente nella gestione della propria salute, rendendo i pazienti più consapevoli e responsabili delle proprie patologie”.

Ma quali sono le terapie migliori che anche in casa ci aiutano a ridurre le lesioni che inevitabilmente subisce con l’invecchiamento la nostra pelle? È innegabile che le aziende che oggi producono dispositivi medici siano in grado di realizzare prodotti più o meno validi. Ciò che però contraddistingue Welcare dai suoi competitor è la capacità di ideare prodotti che, pur essendo inizialmente utilizzati in ospedale, si dimostrano perfetti anche in ambito domiciliare. La persona con patologie croniche, non trovando una cura definitiva in ospedale, dove vengono trattate principalmente le fasi acute, viene stabilizzata per poter proseguire i trattamenti a casa. Welcare consapevole di questo processo sviluppa prodotti pensando non solo alla malattia, ma anche alla persona che si prende cura del malato, offrendo dispositivi efficaci e di facile utilizzo. I prodotti di Welcare hanno una curva di apprendimento estremamente rapida, riducendo il carico fisico e lo stress mentale del caregiver.

Un impegno che Welcare Industries, azienda italiana con sede a Orvieto, porta avanti sviluppando e commercializzando dispositivi medici per la prevenzione e il trattamento delle infezioni e per la gestione delle lesioni cutanee. Una ricerca costante nello sviluppo di prodotti sicuri e di facile utilizzo, in grado di rispondere con efficacia ai protocolli di cura seguiti dai pazienti. Questi prodotti includono anche garze sterili per automedicazione, che combinano un’azione meccanica e una soluzione di tensioattivo per rompere il biofilm nel letto della ferita e rimuoverne i detriti.

Soluzioni di cura particolarmente utili per le persone anziane e per i soggetti che presentano condizioni croniche come il diabete. Attualmente, secondo quanto rilevato dall’ Italian Barometer Diabetes Report, sono quasi 4 milioni le persone affette da diabete, malattia complessa e in progressivo aumento. Chi è affetto da diabete presenta spesso disturbi e malattie cutanee connesse all’alterato metabolismo del glucosio. Le persone che soffrono di diabete di tipo 2 sono più a rischio poiché più sensibili alle infezioni della cute e delle mucose da parte di funghi e batteri.  Tra le più comuni ci sono le candidosi, le xerosi (pelle secca) e le dermatosi infiammatorie. La gestione della pelle nei pazienti diabetici richiede dunque un’attenzione particolare. I prodotti innovativi di Welcare rappresentano perciò un valido alleato nella gestione delle lesioni e nella prevenzione di complicanze anche gravi. La protezione della pelle fragile e la gestione efficace delle lesioni croniche contribuiscono dunque significativamente al miglioramento della qualità della vita degli anziani. Utilizzando prodotti innovativi e facili da usare, come quelli sviluppati da Welcare, i pazienti possono mantenere una maggiore autonomia e comfort. Inoltre, i caregiver familiari, che spesso si trovano ad affrontare il compito arduo di assistere i propri cari senza un’adeguata formazione, beneficiano di questi dispositivi che riducono il carico fisico e lo stress emotivo. Questo approccio non solo migliora le condizioni di salute dei pazienti, ma favorisce anche un ambiente domestico più sereno e sostenibile. La gestione delle patologie croniche e la protezione della pelle fragile degli anziani rappresentano delle sfide significative per il sistema sanitario, specialmente in regioni come l’Umbria. L’innovazione, su cui la lavora Welcare per dispositivi medici all’avanguardia, è essenziale per supportare i caregiver e migliorare la qualità della vita degli anziani, che dipende anche da cure mirate per la nostra pelle.




La Fondazione, “ecco cosa è successo negli anni e perché non abbiamo aderito all’ultimo aumento di capitale”

La notizia relativa all’intenzione del Mediocredito Centrale di mettere sul mercato la quota di sua spettanza della Cassa di Risparmio di Orvieto SpA, arrivata a pochi giorni di distanza dalle rassicurazioni alle Istituzioni pubbliche di un progetto di crescita e di sviluppo della Cassa, ha certamente generato incredulità per una cessione, da una parte, e preoccupazione, dall’altra. Purtroppo, non è la prima volta. La Cassa ha già cambiato, nel corso degli ultimi 15 anni, ben quattro soci di maggioranza (Banco di Roma, Cassa di Risparmio di Firenze, Banca Popolare di Bari, Mediocredito centrale).

Si è, subito, chiesto cosa farà la Fondazione e, soprattutto, perché non abbia aderito all’ultimo aumento di capitale.

Si ritiene allora opportuno fornire ulteriori chiarimenti sulle ragioni per cui la Fondazione, valutando attentamente – nei vari consessi e con l’assemblea dei soci – tutti i pro e i contro di una possibile adesione all’aumento di capitale della conferitaria, abbia scelto consapevolmente di non partecipare a un aumento che non ha mai condiviso nelle modalità e nei termini di esecuzione, tanto che ne è stata impugnata la delibera.

Una volta subentrata la Banca Popolare di Bari, vengono effettuate due ricapitalizzazioni della Cassa. La prima è del 2009 e vede impegnata la Fondazione con un conferimento in denaro di 4,4 milioni di euro. La seconda è del 2011, dopo aver rinunciato a una opzione di vendita della propria partecipazione in CRO SpA (con obbligo di acquisto da parte della Banca Popolare di Bari) a un prezzo prefissato fra 35 e 40 milioni di euro (convertita in un non comprensibile e svantaggioso mandato a vendere, con 5 milioni di penale in caso di mancata esecuzione del contratto). Il conferimento richiesto alla Fondazione, in questa seconda capitalizzazione, è decisamente più importante, 13 milioni di euro in denaro, mentre il socio di maggioranza apporta per la quota di spettanza unicamente sportelli (alcuni doppioni, poi chiusi), il cui valore di perizia viene successivamente svalutato con perdite per la Cassa di Risparmio di Orvieto per circa 40 milioni di euro. Da qui la mancata erogazione di dividendi e la svalutazione della partecipazione detenuta in CRO SpA per oltre 10 milioni di euro.

Tutto ciò ha generato un consistente impoverimento del patrimonio della Fondazione, con una rilevantissima, e irrimediabile, diminuzione della capacità erogativa sul territorio.

La Fondazione, oggi, deve gestire in modo attento le proprie ridotte disponibilità per arrivare a ottenere rendimenti minimamente adeguati allo svolgimento della propria mission, ma non certo sufficienti a garantire nel tempo la conservazione, in termini reali, del patrimonio.

D’altronde la storia ci insegna come alcune Fondazioni abbiano perduto in gran parte, se non tutto, il loro patrimonio per dare seguito alle richieste di aumento di capitale delle rispettive conferitarie.

Investire ulteriori 7,2 milioni di euro avrebbe portato l’impegno complessivo della Fondazione nella Cassa Risparmio di Orvieto SpA a un valore complessivo di circa 30 milioni (considerando il conferimento inziale), ossia metà del patrimonio oggi posseduto. Un investimento finanziariamente non sostenibile e infruttifero, attesa la mancanza di dividendi da parte della conferitaria e l’assoluta incertezza di riceverli in futuro, che avrebbe determinato un’ulteriore contrazione della capacità erogativa annuale della Fondazione.

Queste le motivazioni. È stato un ragionamento difficile, complesso, meditato e sofferto fatto da persone serie che hanno a cuore il bene e il futuro della Fondazione.

Fonte: Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto




Una lezione di “coerenza” nel viaggio ” da “e “per ” la Capitale da parte di FS

Nella mattinata di lunedì 26 agosto i pendolari orvietani respiravano e avvertivano qualcosa di nuovo nell’aria.

Finalmente, conclusi la notte del 24 agosto i lavori di Rete Ferroviaria Italiana per la manutenzione straordinaria del viadotto Paglia nei pressi di Orvieto, tutti davano per scontata una giornata non traumatica per raggiungere la Capitale in treno e per rientrare da essa.  Alle sette e venti la solita moltitudine di passeggeri, occasionali e pendolari, attendevano sul binario due della stazione di Orvieto il treno intercity 581 con arrivo previsto a Roma Termini alle ore 8e20.  A dispetto dei lavori terminati presso il fiume Paglia, il treno è comunque arrivato a Roma Termini dopo le nove.  Precisamente alle 9,04.  “Appena” quarantaquattro minuti di ritardo.

Molti degli stessi passeggeri, occasionali e pendolari, per rientrare a casa hanno usato il regionale veloce 4106.  Il tristemente famoso “carnaio” delle 17e20. E con questo treno si è assistito a un qualcosa di veramente “speciale”. Il treno, “sovraccarico” come suo solito, è partito in perfetto orario alle 17e20 dal binario due di Roma Termini ed è arrivato in perfetto orario a Roma Tiburtina alle 17e28. Poi è rimasto misteriosamente “parcheggiato” dieci minuti al solito binario sei.

Trascorsi i dieci interminabili minuti, il “solito” annuncio, “incubo” per ogni pendolare. “Causa alta frequentazione di materiale viaggiante su linea Alta Velocità, il regionale veloce 4106 per oggi sarà istradato su linea convenzionale”.  Ovvero la linea “lenta”. Così il treno veloce 4106 è arrivato a Orvieto alle 19e20, anche stavolta con “appena” 44 minuti di ritardo rispetto all’arrivo previsto alle 18e36.

44 minuti di ritardo per raggiungere la Capitale con l’intercity 581 delle 7e20 in mattinata.

44 minuti di ritardo per rientrare a Orvieto dalla Capitale con il regionale veloce 4106 delle 17e20. Insomma, tutto si può dire di Trenitalia ma certamente non si può dire che pecchi di incoerenza nel rispetto dell’orario di percorrenza nella stessa giornata “da” e “per ” la Capitale.