La sindaca Tardani chiede al presidente del consiglio comunale una commissione ad hoc e ribadisce “la salute dei cittadini al centro”

Riportare nelle sedi istituzionali il confronto sui temi della sanità per evitare strumentalizzazioni sulla salute dei cittadini che rischiano di allontanarci dall’obiettivo comune di difendere e garantire un diritto fondamentale“. Lo afferma il sindaco di Orvieto, Roberta Tardani.

Con questo spirito e come annunciato nel discorso di insediamento – spiega il primo cittadino – ho chiesto al presidente del consiglio comunale, Stefano Olimpieri, che ha già dato la sua convinta disponibilità, di mettere all’ordine del giorno di una delle prossime riunioni della Conferenza dei capigruppo la costituzione di una commissione ad hoc sulla sanità e quindi calendarizzare una serie di audizioni con soggetti qualificati a partire dai rappresentanti della Regione Umbria, dei vertici dell’Usl Umbria 2, del distretto sanitario di Orvieto, dell’ospedale Santa Maria della Stella, e dei sindacati. Vogliamo in questo modo riaffermare e rafforzare il ruolo che in tema di politiche sanitarie spetta ai sindaci e ai Comuni, ovvero quello di monitoraggio, controllo e indirizzo, ma anche ristabilire una corretta e trasparente informazione e quindi poter valutare l’adeguatezza delle soluzioni già individuate e avanzare proposte condivise per risolvere le criticità ancora esistenti”.

“Naturalmente – prosegue il sindaco – il confronto sarà aperto alle associazioni che come noi hanno legittimamente a cuore questi temi, con l’auspicio che l’approccio e i toni siano propositivi e non di scontro, e sarà portato nell’ambito dell’assemblea dei sindaci della Zona sociale n.12 per cui era già in previsione una riunione dopo la pausa estiva senza dimenticare che con i colleghi sono in corso anche in questi giorni riunioni sulla nuova strategia delle Aree Interne che prevede linee di finanziamento per interventi nel settore socio-sanitario. Come Comune, peraltro, siamo pronti a ragionare sulla proposta del sindaco di Ficulle di aprire un tavolo sul welfare e nell’eventualità di farne il capofila. Non smetterò mai di ripetere e rivendicare l’attenzione e l’impegno personale e dell’amministrazione sulle criticità della sanità locale che sono quelle proprie del sistema sanitario nazionale, dal reperimento dei medici all’abbattimento delle liste di attesa. Non abbiamo mai nascosto i problemi, non abbiamo mai smesso di sollecitare interventi sull’organico da parte di Regione e azienda sanitaria, che hanno risposto con l’indizione di numerosi concorsi in tutte le specialità non ultima Urologia. Insieme a molti sindaci umbri abbiamo sollecitato più volte il governo regionale a mettere in pista un efficace piano di abbattimento delle liste d’attesa che, come hanno recentemente sottolineato gli stessi sindacati, sta cominciando a dare i suoi frutti. Insieme ai sindaci del territorio, inoltre, abbiamo formalizzato nelle sedi opportune la richiesta di mantenimento del distretto di Orvieto per ragioni demografiche e logistiche. Senza le continue sollecitazioni di questa amministrazione non avremmo ottenuto importanti investimenti dalla Regione sulla sanità locale come mai prima d’ora, circa 20 milioni di euro, non avremmo ottenuto finalmente dopo anni un direttore per il nostro presidio ospedaliero, non avremmo indirizzato le scelte sull’ex ospedale di Piazza Duomo dove entro ottobre inizieranno i lavori per la realizzazione della Casa e dell’Ospedale di comunità, un’opera strategica per migliorare l’efficienza della medicina territoriale e riqualificare un pezzo importante del centro storico della città”.     

“Non sfuggirà a nessuno – conclude il sindaco Tardani – che alle porte c’è un’importante scadenza elettorale e il rischio che il tema della salute dei cittadini possa essere utilizzato come arma politica è già purtroppo evidente. Per queste ragioni se c’è veramente la volontà comune di affrontare la questione con serietà e senso di responsabilità non c’è alcun bisogno di fughe in avanti o tantomeno di comitati dal sapore elettorale e si troverà, invece, nel sindaco di Orvieto la piena disponibilità a confrontarsi, ragionare e proporre soluzioni nelle sedi deputate, le uniche che possono dare le risposte che la nostra comunità attende“.




La medaglia d’oro olimpica contro l’odio dell’algerina Imane Khelif

Sono nata e cresciuta in Algeria, vivo ad Orvieto dal 2008. Da donna algerina sento il dovere di scrivere queste righe per dare una risposta a tante accuse e discriminazioni sentiti in questi giorni nei confronti della pugile Imane Khelif.                                 

Il villaggio povero e rurale della campionessa olimpica algerina Imane Khelif, al centro di una polemica sul genere, venerdì 9 agosto è esploso di gioia dopo la sua vittoria alle Olimpiadi di Parigi. Algerini di ogni genere hanno mostrato la loro solidarietà, arrabbiati per il fatto che il padre è stato costretto a mostrare il suo certificato di nascita ai giornalisti per dimostrare che era nata femmina. Da diversi giorni ormai Imane Khelif affronta un’ondata di molestie e discriminazioni sui social network, orchestrata da alcuni e cavalcata da migliaia di persone che mettono in dubbio la sua partecipazione alle gare olimpiche nella categoria boxe femminile

Nonostante le polemiche e l’implacabilità di un esercito di internauti e di personalità influenti, Imane, forte del suo carattere, ha superato tutti gli ostacoli per vincere la medaglia d’oro e onorare l’Algeria, rivelando che le calunnie sono state per lei fonte ulteriore di ambizione e motivazione. Ha ignorato le parole dei calunniatori e ha risposto nel miglior modo possibile. Riporto qui le sue parole «Ho pienamente diritto a partecipare, sono una donna come tutte le altre. Sono nata donna, ho vissuto da donna e ho gareggiato da donna … questi attacchi danno un sapore speciale al mio successo». Di fatto, il linciaggio che ha subito e la vittoria riportata l’hanno resa un’eroina nel nostro paese.

Imane proviene da una famiglia modesta della regione semidesertica di Tiaret, l’atleta ha spiegato che ha dovuto lottare affinché la sua famiglia, in particolare suo padre, accettasse la sua pratica della boxe. Ha dovuto vendere il pane sulla strada e raccogliere plastica e metallo per poter sostenere le spese della sua preparazione. Di fatto, Imane rappresenta in pieno la natura della donna algerina, il suo orgoglio, la fierezza e la lotta per conquistare l’indipendenza attraverso lo studio e il lavoro.

Vedere Imane Khelif sul ring ci ricorda Lalla Fatma N’Soumer, una delle principali eroine della resistenza algerina durante l’impresa coloniale francese nella regione della Cabilia. Ed altre donne che hanno fatto l’Algeria come combattenti, scrittrici, cantanti, attrici…

Infine, vorrei sottolineare che la storia dell’Algeria è strettamente legata ai nomi delle donne combattenti e martiri, che sono considerate modelli di coraggio e sacrificio, e che le donne algerine hanno da sempre incarnato uno spirito di abnegazione e impegno, diventando una fonte permanente di ispirazione per le generazioni future. Lo spirito pionieristico delle donne algerine non si è fermato con la rivoluzione e sono ancora considerate la pietra angolare della società, poiché contribuiscono in tutti gli ambiti ed a tutti i livelli alla costruzione della nazione. Un esempio ed una eredità che si estende oltre i confini algerini, ispirando le lotte delle donne arabe e africane che aspirano alla liberazione, in particolare delle donne palestinesi e sahrawi.           

Imane Khelif lascerà un’eredità significativa nel mondo dello sport e non solo. La sua vittoria è vista come un simbolo di resilienza e coraggio di fronte alle polemiche e alle critiche maligne che ledono la sua dignità e l’onore della sua famiglia, dei suoi cari, e quindi di tutti gli algerini. Ecco perché questa medaglia d’oro viene celebrata non solo come un trionfo sportivo ma anche come una vittoria morale e sociale. Imane Khelif è ora vista come un’eroina nazionale che incarna speranza e orgoglio.

Foto: La Repubblica




CRO, tante orecchiette e pochi umbrichelli

Se Orvieto avesse lu mer, sarebbe una piccola Ber. Peccato, il mare non c’è. Però c’è una banca nella quale proprio Orvieto è sempre più piccola, piccolissima. Ci risiamo? Inutile rivangare il passato fatto di difficili rapporti tra la Fondazione e la Popolare di Bari. Inutile ricordare quanta rilevanza (poi anche giudiziaria) ci sia stata in quella storia che, tra i suoi capitoli, ha previsto che la Cassa di Risparmio, a un certo punto, diventasse proprietà di un gruppo (presunto) protagonista in seguito di uno dei tanti (desunti) scandali bancari nazionali. Veramente, non importa più a nessuno. Molti avevano perso risparmi: a loro importa ancora e brucia, forse. Ma ora la “cassa” è dello Stato (Mcc), è solida, è finalmente nelle mani giuste. E fa soldi: quasi 14 milioni di euro di utili in 18 mesi. Chi se lo aspettava: complimenti. In verità, con i tassi in salita, bastava davvero solo mettersi lì e aspettare l’incasso. Ogni azionista di banca a qualunque latitudine d’Europa lo sapeva. E allora, ma quali complimenti: ci sarebbe riuscito anche Paperino. 

Chi ama i dettagli può sorridere che siano ancora baresi (bravi e competenti, questo non si discute) il capo del personale e quello dell’area retail (praticamente il cuore dello sportello); così come lo sia buona parte della seconda linea dirigenziale della banca, il middle management (così definito in gergo) che costituisce l’anima operativa dell’istituto. 

Succede, però, che chi entra in una banca, soprattutto di territorio, speri di essere “capito”. Anzi, lo pretenda. Il tema rinvia a una certa retorica provinciale, un po’ snob. Però se ti compri (o guidi o gestisci o controlli) la banca di Orvieto, con la sede dentro i confini di Porta Romana, non devi per forza fare il ruffiano, ma non puoi nemmeno dare l’impressione di volerla colonizzare, “lobbizzare”, se non commissariare (in senso lato, ci mancherebbe). Come dire: vanno bene le orecchiette, ma qui non puoi dimenticare gli umbrichelli. Al di là dei comunicati stampa balneari sulla celebrazione degli utili e sui cerimoniali con i quali i vertici hanno incontrato le Istituzioni rielette, una domanda è lecita: ma sarà mai possibile che (tranne rarissime e valide eccezioni) su quasi trecento dipendenti non ce ne sia qualcuno meritevole di fare carriera nella propria banca e nella propria città? Se al fatto si aggiunge che la Fondazione azionista non ha spuntato nemmeno un referente nel nuovo consiglio di amministrazione (cosa “istituzionalmente” scortese, se non punitiva) è difficile non farsi un film. Che, obiettivamente, sembra essere un sequel. E qualunque sarà il titolo, già si prefigura un sottotitolo (temuto): “il ritorno”.