Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo una lettera aperta scritta da Pietro Zoccolini, che ringraziamo per essere un nostro lettore. Ancora una volta al centro i problemi di collegamento ferroviario tra Orvieto e Roma, i pendolari, i disagi e il decoro, soprattutto il decoro…
Seguo i vostri articoli e in modo particolare quelli che riguardano il problema trasporti ferroviari-pendolarismo e non solo. La questione mi sta a cuore per molti motivi ma i principali sono: che vivo sul treno da oltre venti anni come pendolare; che Orvieto città turistica non può essere così bistrattata nei collegamenti ferroviario e non solo. Ho letto e condiviso spesso le cronache di viaggio che pubblicate. Cronache di disavventure per i pendolari per la maggior parte.
Oggi voglio parlare di un altro caso, meno da pendolare ma più da turista/viaggiatore. La storia non è la mia ma quella di mia figlia Arianna e non è riferita a pendolarismo ma a viaggio occasionale anche se nel passato è stata pendolare rinunciando al lavoro per le difficoltà di collegamento appunto tra le città. Per l’uso che ne potete fare ecco di seguito il resoconto di un viaggio con Trenitalia da Orvieto a Roma. “Venerdì 24 maggio. Ho programmato un weekend a Roma con le mie amiche da settimane. Abbiamo prenotato il B&B, il punto di incontro, per tutte, è Roma. L’orario previsto di incontro sono le 16,30, ma da Orvieto non c’è un treno che arrivi attorno a quell’ora. L’unica alternativa valida è il regionale delle 13,27 – ma io sono abituata a essere sempre quella che arriva prima di tutti gli altri. Mi sono sempre adattata bene. Quando arrivo al binario, mi posiziono in cima. Di solito è il punto in cui sale meno gente e si trova più posto, e il treno dell’ora di pranzo non è mai troppo trafficato. Ma mi rendo subito conto che qualcosa non va quando salendo i primi vagoni sono strapieni e, non solo. C’è caldo, tantissimo. L’unico vagone con l’aria condizionata che incontro è pieno fino al midollo di persone anche molto più grandi di me – che ho trentadue anni – e non mi sento, sinceramente, di fare alzare nessuno. Anche se soffro di ansia da viaggio e non è facile neanche per me. Mi sistemo in un vano tra un vagone e l’altro. C’è un altro ragazzo davanti a me, con cui ci scambiamo uno sguardo rassegnato. Nessuno parla, siamo in piedi e dentro di me mi dico: magari qualcuno a Orte scenderà. Le persone a Orte scendono sempre.
Comincio a sentire molto caldo: un po’ l’agitazione del momento, un po’ è che fanno davvero più di trenta gradi. Mi sento un po’ affaticata e comincio a ragionare se sia il caso di sedersi o meno sullo scalino, ma è lercio e io non ho coraggio. A Attigliano arriva una famiglia: madre, padre e tre bimbi piccoli. Si mettono vicino a noi. Con la signora ci scambiamo un sorriso rassegnato. Nel frattempo passa il controllore, che mi chiede il biglietto. Ho fatto il biglietto digitale, valido esclusivamente per il treno su cui sono sopra. Il controllore mi dice che senza check in dovrei pagare cinque euro in più. Io, in piedi, sudata, con il fiato corto e tutte le difficoltà del caso, non oppongo resistenza, anche se non capisco il senso. Mi scuso, persino, perché negli ultimi tempi ho fatto sempre il biglietto cartaceo e non lo sapevo. Arriviamo a Orte. Persone scese: due. Persone salite, solo sul mio vagone, una decina. Tutte stipate in cerchio intorno a me. Una ragazza più giovane cede allo scalino sudicio, i bambini si accovacciano sulle ginocchia e io, ormai con il respiro mozzo, cedo e mi siedo sul mio zaino.
Ora, mentre sto qui a scrivere non posso fare a meno di riflettere. Vivo a Orvieto e ogni volta che vado a trovare i miei amici mi sento dire: però sei fortunata, sei in un posto che è ben collegato. E io rispondo: è vero. Orvieto è un bel posto, sereno, si vive bene. Ma non è ben collegato, perché non è possibile che sulla linea Roma-Firenze ci siano così pochi treni, quasi praticamente solo regionali, un intercity ogni tanto. Qualcuno potrebbe obiettare, potevi prendere il treno successivo, saresti arrivata alle 16,48. E sarebbe stato sicuramente più vuoto. Perché? Perché non è un diretto. Avrei fatto un cambio di un’ora a Orte per un tragitto che, in alta velocità, richiederebbe si e no 45 minuti. E se questo disagio lo vivo io che sto andando fuori per il weekend, come fanno le persone che viaggiano tutti i giorni? Perché sono stata anche una di loro, tra parentesi, ed è vergognoso che per lavorare fuori si debba rinunciare alla propria vita personale, intrappolati in una routine dove ti svegli, prendi il treno, lavori, torni col treno e ci passi sopra, in sintesi, almeno il 30% del tuo tempo, togliendolo alla famiglia e al disimpegno personale, altrettanto importanti per mantenere una vita sana.
Qui qualcosa deve cambiare. Se non le ferrovie dello stato, il modo in cui Orvieto comunica e si rapporta con loro – perché è un sito turistico, ma stare ai tempi degli altri e a queste situazioni prima o poi porterà a un calo drastico delle visite. Non isoliamoci.”
Ora, immaginiamo i turisti di questo treno, magari in viaggio per Orvieto o da Orvieto diretti a Roma…
Cordialmente, Pietro Zoccolini.